Le solennità civili sono destinate a ricordare e celebrare avvenimenti tra i più significativi per la comunità e per la storia nazionale, e tra queste il 2 giugno è indicato come Festa della Repubblica. Tutti ne colgono l’evidente contenuto celebrativo, sottolineato dalle solenni manifestazioni che vedono anzitutto impegnato il Presidente della Repubblica, il quale, come vuole la costituzione “rappresenta l’unità nazionale”. Manifestazioni che, in forme diverse, si estendono all’intero Paese, per testimoniare il ricordo della nascita della Repubblica, per effetto della scelta popolare della forma di Stato, fatta con il referendum istituzionale nel 1946.
Solo pochi, tra i più anziani, hanno diretta memoria degli avvenimenti nei quali si situa quell’evento, colti nella remota esperienza della loro infanzia. Anche tra i giovani, pochi ne hanno conoscenza, seppure mediata dai racconti familiari. Il contesto sociale e politico di allora forse può essere colto, anche visivamente, attraverso le espressioni artistiche che la cinematografia ci ha offerto come testimonianza di un’epoca. I capolavori del neorealismo italiano non raccontano solamente storie di persone e vicende collettive, cogliendone idee e sentimenti. Mostrano le ansie, le sofferenze, i conflitti, le speranze, l’impegno degli individui e di una comunità, e ne rappresentano il più autentico profilo di umanità.
Da allora, nei 75 anni di vita repubblicana, il Paese è profondamente cambiato. Sono enormemente mutate le condizioni economiche e sociali. La povertà nel dopoguerra era fame reale di cibo per larghi strati della popolazione, denutrizione per l’infanzia, e non la odierna “difficoltà economica nella fruizione di beni e servizi”. C’era da ricostruire il Paese, da rimuovere le macerie e rimarginare le ferite morali e politiche che pesavano sul dopo guerra. C’era da costruire un contesto di unità e pace in una Europa solcata dai totalitarismi e che era stata terreno di battaglia di due guerre mondiali. A questa opera immane si sono dedicate con fiducia e perseveranza le vecchie e nuove generazioni che hanno segnato gli anni del “miracolo economico”. Le istituzioni e le formazioni sociali hanno guidato e accompagnato questo sviluppo. Le contrapposizioni ideologiche tra le forze politiche, e la naturale competizione tra le diverse formazioni, non sono state di ostacolo per trovare elementi di convergenza, nell’interesse nazionale, a partire dalla costituzione.
Al referendum popolare, con la scelta della forma repubblicana di Stato, si era unita la elezione della Assemblea costituente, che avrebbe redatto e approvato la Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948. La festa della Repubblica è anche festa della Costituzione. Ben a ragione. Questo solenne documento non ha solamente valore giuridico. Attraverso i suoi principi esprime il volto del Paese: i diritti di libertà, la eguale dignità di ogni persona, senza distinzione di categorie o di stato sociale, la naturalità della famiglia, l’accoglienza dello straniero rifugiato, la solidarietà politica, economica e sociale, il valore del lavoro, il sostegno in ogni situazione di bisogno, la sussidiarietà.
La storia del Paese nei 75 anni trascorsi da allora è stata caratterizzata, nel suo complesso, da uno sviluppo economico e sociale senza precedenti. Le istituzioni democratiche sono rimaste salde anche quando il Paese è stato solcato da crisi profonde. Gli anni del terrorismo e delle stragi, della violenza della criminalità mafiosa, hanno segnato la vita del Paese, ma non hanno inciso sulle libertà né hanno messo a rischio la democraticità delle istituzioni.
In un contesto molto diverso, ci troviamo ora di fronte ad una nuova, originale e differente crisi, che la pandemia, più che produrre, ha reso evidente e accentuato. Solo uno sguardo superficiale la potrebbe collocare sul piano esclusivamente sanitario, o restringerla al versante economico e finanziario. Non è sufficiente né appropriato auspicare o constatare con soddisfazione la “resilienza”, vale a dire la capacità di tornare indietro, nella posizione originaria dopo l‘urto pandemico. “In momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”, lo insegna Papa Francesco, che invita ad “accogliere questo dovere in un progetto Nazione e ancora più in un progetto comune per l’umanità presente e futura”, e ne indica, nell’enciclica Fratelli tutti, elementi portanti. È un impegno politico, ma è anche compito dell’intera comunità.
Non è fuor d’opera, nella Festa della Repubblica, guardare al futuro. Celebrare è anche ricordare, ma non si esaurisce in questo, non è un esercizio di archeologia della memoria. Significa guardare avanti e trarre dal ricordo della propria storia le energie e l’impegno per costruire il futuro.