Anche quest’anno, nonostante la pandemia, l’otto marzo sarà una grande giornata di mobilitazione e di denuncia contro i ritardi sociali, economici e culturali che ostacolano una vera parità tra uomo e donna. Dobbiamo dire grazie a tutte le donne che nel nostro paese sono state in questi mesi un baluardo contro il virus, sempre in prima linea con grande coraggio e responsabilità negli ospedali, nelle aziende, nei servizi, nelle scuole, ma soprattutto in famiglia, come madri e come figlie di genitori anziani.
Le donne sono state le più colpite dalla crisi economica. Molte di loro avevano un lavoro, precario, part – time o a termine e per la pandemia l’hanno perso. E con esso hanno visto sfumare progetti, svanire sogni, vedere svilita la propria dignità. Una grande battaglia persa con 312 mila donne che sono rimaste senza lavoro da febbraio 2020, soprattutto nel terziario, negli studi professionali, nelle occupazioni meno garantite, dove tante passano spesso da un contratto a termine all’altro o sono costrette ad accettare mezze occupazioni in nero, soprattutto al Sud. Già prima della pandemia le donne italiane scontavano un tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa: il 50 % contro il 65% della media Ue, con punte al di sotto del 30 % nel Mezzogiorno.
Ora le cose sono peggiorate. Ecco perché la rotta va invertita a tutti i costi. Se non si interverrà adesso, aumentando il numero delle donne che lavorano, valorizzando il talento di tantissime ragazze istruite e capaci, le conseguenze saranno drammatiche per il Paese: aumenteranno le disuguaglianze, cresceranno le povertà, si faranno sempre meno figli. Fino a quando le donne rimarranno ai margini del mercato del lavoro l’Italia non ripartirà, non tornerà a crescere. Le donne possono e devono essere un motore della ripresa, della nostra rinascita economica e sociale. Ma serve uno scatto, servono investimenti, sgravi fiscali e contributivi stabili per favorire le assunzioni, strumenti e politiche condivise tra il Governo, le Regioni, gli Enti locali, le parti sociali. Sappiamo che una donna su quattro lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio, soprattutto nel Sud.
Il primo sforzo va fatto sui servizi sociali, a partire dagli asili nido pubblici. Non è possibile che a cinquant’anni dalla loro istituzione il 12% dei bambini non vi trovi spazio, con una situazione da terzo mondo soprattutto nel Mezzogiorno. Oltre agli ammortizzatori sociali universali da estendere a tutti, al blocco dei licenziamenti fino alla fine dell’emergenza sanitaria, serve subito una riforma delle politiche attive per ricollocare le donne che perdono il lavoro. Il percorso di studi, la formazione delle nuove competenze, tutto l’insieme delle politiche attive, vanno messi in sintonia con un mercato che si rinnoverà sempre di più per il continuo avanzare delle nuove tecnologie. Occorrono anche congedi obbligatori paritetici fra uomini e donne, interventi per favorire la conciliazione tra professione e lavoro di cura per gli uni e per gli altri.
E poi serve più contrattazione per favorire la stabilizzazione delle donne e dei giovani, come prevede anche il Next Generation Eu, eliminando quel “gender gap” che penalizza nel nostro paese ingiustamente tante donne. Dobbiamo anche riconsegnare lo smart working al perimetro delle libere ed autonome relazioni industriali.
Oggi nelle tante iniziative sindacali previste per questo otto marzo diremo soprattutto che bisogna prevenire tutte quelle forme inaccettabili di discriminazione sessuale, sostenere le vittime di molestie, mobbing e violenza nei posti di lavoro. Questa è la battaglia sociale e culturale che dobbiamo fare tutti insieme, uomini e donne. “Tolleranza zero”: questa è la nostra parola d’ordine contro ogni forma di violenza, per chiedere la giusta punizione dei colpevoli, più prevenzione, la protezione ed il sostegno delle vittime per accompagnarle nella ricostruzione della propria vita e della propria attività lavorativa, aumentando ad esempio da tre a sei mesi il periodo di congedo. Con il Recovery Plan abbiamo le risorse finalmente per una svolta sul lavoro, puntando sugli investimenti, sulla digitalizzazione, sulla transizione ecologica, sulla green economy. Risorse ingenti, forse irripetibili, che devono creare le condizioni affinché donne e giovani possano entrare e restare stabilmente nel circuito produttivo.
Risorse che devono incidere e spezzare disuguaglianze sedimentate e riunire un Paese in tutte le sue componenti sociali. Questo è il “patto” forte che la Cisl chiede al Governo Draghi. Nessuno deve essere escluso dalla partecipazione ai processi di crescita e di sviluppo.
Luigi Sbarra, Segretario Generale Cisl