La Turchia confessionale e neo-ottomana, voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan, sembra voler cancellare ogni traccia del patrimonio artistico, culturale e religioso cristiano. Oltre 10 secoli di radici bizantine del Paese, che affondano nelle viscere delle Penisola Anatolica, vengono spazzati via o nella migliore ipotesi coperti a colpi di decreti governativi e decisioni dei tribunali che convertono ex-chiese, musei e luoghi dello spirito in moschee.
Lo scorso 20 agosto San Salvatore in Chora ha seguito il destino toccato alla Basilica di Santa Sofia. L’edifico, trasformato in museo negli anni Cinquanta, sorge nel distretto occidentale di Istanbul, detto Edirnekapı, è considerato uno scrigno che non ha eguali in materia di arte bizantina. La chiesa si è sviluppata in più fasi dal IV al XIV secolo e con la ristrutturazione del 1320 si è arricchita di mosaici e affreschi ritenuti da tutti gli esperti della comunità internazionale “gli esempi più belli risalenti all’ultimo periodo della pittura bizantina” prima della presa di Bisanzio da parte degli ottomani.
“Gli elementi stilistici caratteristici di quei mosaici e affreschi sono la profondità, i movimenti, i valori plastici delle figure e l’allungamento delle figure”, si legge sullo stesso sito web. Queste opere si salvarono dalla furia iconoclasta dei turchi guidati dal sultano Maometto II che entrarono a Costantinopoli nel 1453 e ora, a distanza di quasi 6 secoli verranno coperti per consentire ai fedeli musulmani di pregarvi dentro. Le autorità turche per gli affari religiosi non hanno chiarito in quale modalità verranno celate quelle immagini che si fregiano della tutela dell’Unesco. L’Agenzia dell’Onu tra l’altro non è stata minimamente coinvolta nella decisione presa da Ankara.
Ma ad essere mortificate, per quanto preziose, non sono solo le tessere di un mosaico o le sensibilità dei turisti e degli amanti dell’arte bizantina. Questa decisione è una piaga dolorosa per tutta la cristianità che vede procedere a ritmo spedito quel processo di rimozione delle sue tracce dai luoghi in cui le prime comunità cristiane e i primi santi misero le radici, per poi irradiare tutta l’umanità con la Parola che ha cambiato il mondo. Insomma non si tratta di perdere un’opera d’arte ma di diventare nuovamente estranei nelle terre che hanno dato i natali al cristianesimo di rito orientale.
Che non si tratti di un passo scontato lo dimostrano le dichiarazioni del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I (massima autorità religiosa della Chiesa Ortodossa). Il 23 agosto, per la prima volta Bartolomeo ha parlato, durante un’omelia ripresa dall’agenzia Sir, delle recenti conversioni degli edifici bizantini: “Siamo stati feriti dalla conversione della Basilica di Santa Sofia e della Chiesa di Chora in moschee”. “Questi due monumenti unici di Costantinopoli – ha proseguito – furono costruiti come chiese cristiane. Esprimono lo spirito universale della nostra fede così come l’amore e la speranza dell’eternità”.
Il Patriarca ha poi messo l’accento sulle opere presenti all’interno di Santa Sofia e nella Chiesa di Chora: “I mosaici e le icone, unici nel loro genere, sono ‘nutrimento per l’anima e uno spettacolo straordinario per gli occhi’, come disse lo scrittore e pittore greco Fotis Kontoglou. Fanno parte del patrimonio culturale mondiale. Preghiamo il Dio dell’amore, della giustizia e della pace perché illumini le menti e i cuori dei responsabili”.
Tutto questo succede mentre sullo sfondo si alza la tensione tra Turchia e Grecia per le mire di Ankara verso i giacimenti di gas al largo di Kastellorizo, isola greca a circa due chilometri dalla costa turca. In pratica, il governo turco rivendica l’area a sud di Kastellorizo come parte della sua piattaforma continentale e ha lanciato un avviso di restrizione della navigazione nella zona. Dal canto suo Atene ha sempre negato con forza le pretese turche e denunciando una violazione delle sue acque territoriali. E in questa cornice di rinnovato espansionismo ottomano, l’Europa sembra incapace di rispondere con una sola voce e di difendere quel pluralismo culturale e religioso che è la più importante cartina di tornasole delle democrazie.