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Fede e guerra sono inconciliabili

Foto di krisna azie su Unsplash

Il quinto comandamento, sottolinea il catechismo della Chiesa Cattolica, proibisce la distruzione volontaria della vita umana. A causa dei mali e delle ingiustizie che ogni guerra provoca, la Chiesa con insistenza esorta tutti a pregare e ad operare perché la bontà divina ci liberi dall’antica schiavitù della guerra. Tutti i cittadini e tutti i governanti sono tenuti ad adoperarsi per evitare le guerre. Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa.

La guerra è in sé irrazionale e il principio etico del regolamento pacifico dei conflitti è la sola via degna dell’uomo». E’ inconcepibile ogni giustificazione religiosa della violenza. Precisa e chiara ne è la condanna: «Ogni uso della religione per giustificare la violenza è un suo abuso. La religione non è, e non deve diventare, un pretesto per i conflitti, soprattutto quando l’identità religiosa, culturale ed etnica coincidono. La religione e la pace vanno di pari passo: dichiarare guerra in nome della religione è un’evidente contraddizione. Nei primi anni novanta del secolo scorso, a seguito del crollo politico del blocco comunista dei Paesi dell’Est europeo, Giovanni Paolo II con coraggio e con una netta presa di posizione sorpassa il diritto alla non-ingerenza negli affari interni di uno Stato con il prevalente dovere dell’ingerenza umanitaria, con queste argomentazioni: «Esistono degli interessi che trascendono gli Stati: sono gli interessi della persona umana, i suoi diritti. Oggi come ieri, l’uomo e le sue necessità sono, ahimè, tuttora minacciati, a dispetto dei testi più o meno vincolanti del diritto internazionale, a tal punto che un nuovo concetto si è imposto in questi mesi, quello di “ingerenza umanitaria”.

Una volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici, i processi previsti dalle convenzioni e dalle organizzazioni internazionali siano stati messi in atto, e che, nonostante questo, delle intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore, gli Stati non hanno più il diritto all’indifferenza. Sembra proprio che il loro dovere sia di disarmare questo aggressore, se tutti gli altri mezzi si sono rivelati inefficaci. Più recente è l’ulteriore evoluzione magisteriale del principio dell’ingerenza umanitaria nel principio della responsabilità di proteggere ad opera di Benedetto XVI nel discorso tenuto all’Assemblea delle Nazioni Unite, il 18 aprile 2008: «Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi – così si è espresso il pontefice – una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini della Nazioni Unite ed è ora divenuto sempre più caratteristica dell’attività dell’Organizzazione. Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali.

L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’impostazione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno è una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione».

La guerra non è mai inevitabile. La pace è sempre possibile. Anzi doverosa. Papa Francesco si pone nella stessa scia dei suoi immediati predecessori sia quanto al rapporto religione e guerra sia quanto alla condanna della guerra nucleare. Per quanto concerne il primo rapporto basta leggere quanto ha sottoscritto il 4 febbraio 2019, assieme al Grande Iman di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, nel Documento sulla Fratellanza Umana per la pace e la convivenza comune. Affermazioni analoghe le ha pronunciate durante il suo viaggio apostolico in Iraq (5-8 marzo 2021). Ecco in sintesi il pensiero di papa Francesco: la religione, per sua natura, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Il nome di Dio non può essere usato per “giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”. Dio è misericordioso. L’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione.

mons. Mario Toso: