Editoriale

Expo 2030: un’occasione mancata per Roma

La cocente vicenda Expo 2030, si spera che induca gli italiani a non cadere nella solita trappola favorita da classi dirigenti capaci di spostare il dibattito sui comportamenti altrui per coprire i propri fallimenti. Per loro è il modo per accreditare l’opinione che i nostri guai derivano dalle congiure altrui e non dai nostri comportamenti sbagliati. Sono troppi gli anni passati a nascondere la esigenza di cambiare le cose in un mondo totalmente nuovo rispetto al passato. In questo logoro contesto, alcuni si sono esercitati nel sostenere che la vittoria di Riyad nell’assegnazione dell’Expo è dovuta al prevalere del mercantilismo e di giochi di potere inenarrabili.

Lo hanno affermato come se fosse un fatto negativo trattandosi della manifestazione mondiale più importante da circa un secolo e mezzo deputata ad esporre “le mercanzie dei popoli”. Ad esempio, la prima esposizione universale si tenne nel 1889 a Parigi e quella città in quell’epoca rappresentava l’esempio più eloquente della modernità e dello sviluppo. Non fu un caso che in quella occasione si potesse inaugurare la mirabile torre di ferro progettata da Eiffel. Quell’evento, ben rappresentava le aspirazioni di quel periodo storico; come lo rappresenta l’Arabia, paese che vive a cavallo tra il medioevo privo di diritti civili e democratici e la più ardita modernità. I Sauditi vivono di solo petrolio, ma già hanno progettato e messo in opera la più imponente struttura di produzione di energia solare candidandosi ad essere leader energetico anche del futuro per accompagnare giocoforza l’abbandono dell’energia fossile.

L’Arabia Saudita è paese che supera i due milioni di km2 di cui solo l’1% del territorio è coltivabile in quanto desertico. Eppure ospiterà prodigiosamente i giochi asiatici invernali avendo costruito piste di neve da far impallidire le piste sportive dei monti alpini italo-francesi. Dunque le credenziali per la scelta dei paesi ospitanti in 150 anni sono rimaste collocate nel solco di ogni altra scelta di designatura avvenuta nel passato di luoghi di sviluppo della modernità. La stessa felice scelta per dell’Expo a Milano è stata possibile per la proverbiale affidabilità meneghina, annoverata tra le pochissime città del vecchio continente definibili europee a tutto tondo.

Ed invece Roma scivola sempre più in basso incapace com’è di rappresentare un modello di efficienza di lungimiranza di affidabilità. Ed infatti risulta ancora alla ricerca di una soluzione per la costruzione di un termovalorizzatore, non rappresenta un modello di terziario vincente, ne industriale. È persino lontana dalla Roma delle Olimpiadi del 1960. Ed allora nessuna scusa da accettare da chi trova ogni occasione per fuggire dalle responsabilità perché ritiene possibile mietere dove non ha mai seminato.

Raffaele Bonanni

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