In Italia la proposta di referendum per la depenalizzazione del suicidio assistito ha ottenuto oltre 1,2 milioni di firme e ora si aspetta la decisione della Cassazione sull’ammissibilità del quesito. Se il massimo organismo giurisprudenziale italiano darà il via libera gli italiani potranno decidere se abrogare gli articoli 580 e 579 del codice penale che puniscono l’aiuto al suicidio e anche l’omicidio diretto del consenziente. In teoria chiunque potrà uccidere una persona consenziente anche se in condizioni non terminali della vita.
L’associazione Luca Coscioni e i radicali da sempre presentano questa scelta come libera autodeterminazione della persona ma il piano inclinato su cui poggiano le legislazioni mortifere porta inevitabilmente allargamento delle maglie del controllo, al fenomeno dell’abbandono terapeutico e all’incremento della platea di persone che chiede la “dolce morte”. Non si abrogano quindi solo le norme che tutelano la vita ma lo stesso buon senso, perché la legge fa cultura.
Emblematiche sono le violazioni che sono emerse in Canada. Le scorse settimane è stato presentato il sesto rapporto annuale della Commissione del Québec sul suicidio assistito. Il documento fa riferimento al periodo che va dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 e riferisce di 2426 decessi per eutanasia, in aumento del 37% rispetto all’anno precedente.
A darne notizia è l’Associazione Pro Vita e Famiglia che riferisce anche della discrepanza tra le segnalazioni di interventi eutanasici fatte dai medici e quelle fatte dagli ospedali. Quelle dei primi sarebbero inferiori. La Commissione sulle cure di fine vita non riesce a spiegarsi il perché di questa assurda discrepanza. I dati non coincidono per ben 131 persone morte che, dunque, non sarebbero state correttamente segnalate dai medici che le hanno provocate. E’ inoltre emerso che in tre casi il modulo di domanda per l’accesso all’eutanasia è stato controfirmato da una persona che non lavorava nel campo dei servizi sanitari. In due casi, le persone avevano la tessera sanitaria scaduta e, in un caso, il medico non si è nemmeno preoccupato di approfondire e verificare che persistesse davvero il desiderio di morire al momento della somministrazione dell’eutanasia.
Il rapporto dimostra che la mentalità eutanasica che si fa strada nelle strutture sanitarie e tra il personale medico conduce ad una grave superficialità nel trattare la sofferenza e le persone fragili che fanno richiesta dell’eutanasia. Viene meno qualsiasi sforzo delle istituzioni al fine di curare e sostenere persone sofferenti, malate e fragili. Un abbandono che riguarda anche coloro che non sono in una fase terminale della malattia e che, anche se nelle disabilità, hanno un quadro clinico stabilizzato.
Olanda da questo punto di vista è il caso più emblematico. Nel Paese dei tulipani prima che venisse legalizzata l’eutanasia attiva l’Associazione dei Medici Olandesi dichiarò che non avrebbe mai tollerato questa pratica, oggi, invece, a venti anni di distanza dalla legge dello Stato che la consente, i medici olandesi sono in gran parte favorevoli. Già nel 2005, solo il 15% dei medici olandesi rifiutava di compiere un atto eutanasico. E quindi divenuto subito consuetudine uccidere il Paziente che ne fa richiesta, motivando la pratica nel “miglior interesse per il malato”.
La cultura mortifera contamina la mentalità di medici e pazienti molto velocemente e i casi di eutanasia sono così passati dai 1882 nel 2003 ai 6.858 nel 2019, pari al 4,4% dei decessi della nazione. Ora alcune associazioni si battono persino per la pillola della morte in vendita in farmacia per chiunque sia stanco della vita superati i 70 anni. E’ chiaro che in questo clima si moltiplicano anche le segnalazioni di violazioni e di casi in cui si è andati ben oltre le volontà del paziente capace di intendere e volere. D’altra parte non pochi esperti hanno parlato apertamente del grande risparmio per le casse dello Stato, in termini di prestazioni sociali non erogate.
E quindi inutile porsi la domanda su chi controllerebbe la gestione delle pratiche di eutanasia in caso di legalizzazione in Italia. Una volta aperta la breccia nella legislazione nessuno può fermare la corsa verso la morte, così è andata ovunque sia accaduto: Olanda, Belgio, Canada, Lussemburgo, Spagna, Colombia, Nuova Zelanda e numerosi Stati Usa. A tal proposito la Cei ricorda nel messaggio per la Giornata per la Vita del 2022, pubblicato ieri, che il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita. Mettere termine a un’esistenza – dicono i vescovi italiani – non è mai una vittoria, né della libertà, né dell’umanità, né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate sole con i loro problemi e la loro disperazione.