L’esempio di don Oreste contro le “ingiustizie insopportabili”

Foto Riccardo Ghinelli

“Non bisogna avere paura del male che c’è nel mondo ma del bene che manca nel mondo”, amava ripetere. Oggi l’infaticabile apostolo della carità – così definito da Papa Benedetto XVI -avrebbe compiuto novantanove anni. Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII e Servo di Dio incamminato verso la beatificazione, lo immagino su questa terra ancora pieno di energia e di attenzioni verso il prossimo più debole.

Lo vedrei ancora con quel suo grande sorriso pieno di bontà, aperto a tutti, concentrato nell’ascoltare le sofferenze e le miserie altrui. Sono certo che avrebbe ancora la forza di gridare contro quelle che lui definiva le “ingiustizie insopportabili” e che non avrebbe addomesticato nessuna parola tanto meno per compiacere qualche politico o potente di turno. Il suo linguaggio era duro con i complici del profitto e pieno di consolazione verso i poveri e i sofferenti.

Tra le tante sue particolarità che mi sono rimaste impresse nei tanti anni trascorsi insieme c’è quella di non sentirlo mai giudicare qualcuno. Se doveva “attaccare” lo faceva sul tema, sull’errore, mai sull’ errante. Manca a tutti quell’uomo e sacerdote che testimoniava l’amore di Dio con una misericordia veramente infinita. Così come era instancabile il suo prodigarsi al servizio di ogni singola persona.

Penso anche a come si sarebbe relazionato con Francesco: il Papa arrivato “quasi dalla fine del mondo” rispecchia molto il suo modo di essere. Forse sarebbero diventati grandi amici, uniti nel combinarle di tutti i colori per scuotere la Chiesa in direzione della conversione sincera dei cuori. Lui che andava di notte nelle stazioni ferroviarie a soccorre i clochard appare come il precursore della “Chiesa in uscita” testimoniata dal Pontefice che ha aperto la prima Porta santa del Giubileo a Bangui, nel cuore sofferente dell’Africa, e non a Roma.

L’intera vita di don Oreste ci aiuta a ricordare che non siamo noi il centro. Una scossa salutare perché una prospettiva diversa consente di uscire da alcune strettoie del pensiero contemporaneo e costituisce anche un arricchimento. L’esempio di don Oreste ci sprona a riconoscerci co-discepoli con gli “invisibili” delle periferie geografiche ed esistenziali.

Il riferimento vitale del carisma di don Oreste ci chiama a spostarci da un piano di contenuti e categorie astratte a quello di un metodo – il discernimento dei segni dei tempi e l’aggiornamento – che resta capace, in un contesto continuamente mutevole, di condurre a nuove forme di apostolato. Don Benzi, secondo le categorie interpretative della “Chiesa ospedale da campo” simboleggia nell’impegno quotidiano l’uso del poliedro anziché della sfera come modello della realtà, con ciò che comporta in termini di salvaguardia della pluralità e delle differenze nel rapporto con la società.

A differenza della sfera, identica da qualunque prospettiva la si guardi, il poliedro riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità: pur avendo la sua unità, ciascuna faccia mantiene la concretezza della propria individualità e l’aspetto dell’insieme dipende dal concorso di tutte. A una settimana del suo 99° compleanno, sabato 14 settembre, si terrà a Rimini l’evento di apertura del centenario della nascita dell’inventore delle case famiglie.

Le iniziative si terranno nel corso dell’anno in tutta Italia per ricordare il prete dalla tonaca lisa e nel week end del 21-22 settembre, in 600 piazze d’Italia si svolgerà “un Pasto al giorno”, l’evento ideato da don Benzi nel 1985 dopo un viaggio in Africa per annunciare che può esistere un modo nuovo di vivere, una società più fraterna che va col passo degli ultimi e in cui nessuno è lasciato indietro.

La solidarietà e la condivisione, quindi, come principi di una fede che lungi dal trasformarsi in motivo di conflitto e di contrapposizione all’interno della convivenza civile, risultano vivibili e appetibili anche per gli altri. Un Vangelo della prossimità predicato nel maggior consenso e concordia possibili, motivando in profondità l’anelito di giustizia sociale. “Al povero non va dato ciò che è possibile a noi ma ciò di cui lui ha bisogno”, insegna don Oreste.