La memoria collettiva è un’attitudine sociale per ricordare il vissuto che ha segnato fortemente la sfera pubblica. Le commemorazioni servono a conservare un ricordo partecipato che ci indica la strada da seguire, come singoli e come comunità. Le pratiche rievocative consentono di trasmettere integre le storie del passato alle più giovani generazioni. La conservazione del ricordo costituisce un momento essenziale per organizzare un quadro di riferimento condiviso. Si tratta di un processo lungo e articolato da costruire attraverso la narrazione.
Sono trascorsi trent’anni dalla strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti Montinaro, Dicillo e Schifani. Dopo 57 giorni, Paolo Borsellino e la sua scorta vennero fatti saltare in aria in Via D’Amelio. Quei terribili fatti costituiscono conoscenza realmente condivisa, che non lascia spazio per divisioni. Senza conflitti di anamnesi, senza contrapposizioni territoriali, culturali e sociali. Si tratta di un’eredità che appartiene al popolo italiano. Gli attacchi violenti sferrati dalla mafia al cuore dello Stato hanno avuto l’effetto di realizzare una memoria unanime.
Eventi tragici che hanno prodotto una nuova consapevolezza collettiva contro la mafia e la criminalità organizzata. Da allora si è imposta la parola d’ordine di stare dalla parte dello Stato senza se e senza ma. Dal trauma di quei terribili giorni, tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992, incomincia una fase di progressiva liberazione della Sicilia dal silenzio e dall’indifferenza. Ma anche dalle invidie e dai veleni dei palazzi di giustizia che Falcone dovette subire quando era ancora in vita. Da chi, addirittura, dall’accademia lo bocciò alla Procura Nazionale Antimafia perché troppo vicino all’allora Guardasigilli Claudio Martelli. Come racconta la sorella Maria, in un recente libro dal titolo “L’eredità di un giudice”.
Le storie tragicamente “gemelle” di Falcone e Borsellino hanno moltiplicato, in questi decenni, sentimenti di fierezza per il coraggio e la dedizione massima dei due magistrati siciliani che hanno pagato con il sacrificio della vita. Storie esemplari capaci di travalicare i confini nazionali, divenendo patrimonio dell’umanità. Anche gli Stati Uniti ricordano Giovanni Falcone, come “la personificazione del senso dello Stato”, dedicandogli un busto, eretto nel giardino del quartier generale dell’FBI a Washington. Un omaggio che costituisce un’entità viva in grado di interagire con la società per plasmarla a sua immagine.
Il compito dei presenti è tenere viva la scintilla del ricordo e non lasciare che sbiadisca con il passare del tempo. La giornata della legalità serve proprio a trasmettere modelli di comportamento esemplari partendo da piccoli gesti quotidiani. La cultura della legalità nella sua concretezza si attua con misure di promozione dell’etica pubblica e di contrasto del malaffare e della corruzione. Un promemoria di educazione civica nazionale che diviene una straordinaria occasione per segnare la distanza con il passato mafioso stragista.
Una cura costante e quotidiana del principio di legalità non ha bisogno atti di eroici, basta poco per affermare il rispetto delle regole. Comportamenti semplici che vanno dalla tutela dell’ambiente, con uno smaltimento dei rifiuti virtuoso, all’osservanza del codice della strada, alla cura degli spazi urbani, alla accettazione delle diversità e dell’altro, abbattendo ogni tipo di stereotipo.
Eppure, si assiste ad un aumento della delinquenza minorile, al fenomeno molto preoccupante delle baby gang che vandalizzano le città. Molti i nuovi ingressi nelle carceri di giovani per spaccio, rapine e atti di teppismo. I dati aggiornati degli istituti penitenziari dicono che rabbia e incapacità di integrazione sono alla base della delinquenza minorile. La risposta al crimine deve passare da una rete educativa che si faccia carico dei minori con personalità problematiche per accompagnarli verso il reinserimento sociale. Secondo i dati registrati dall’Invalsi il 51% dei quindicenni è incapace di comprendere un testo. I più colpiti dal rischio di povertà educativa sono i figli delle famiglie fragili che vivono al sud e quelle con sfondo migratorio. Una dispersione scolastica implicita che rappresenta un rischio per la tenuta democratica del Paese.
Spetta primariamente alla scuola il compito di gettare il seme per tramandare la memoria e tenere vivo l’insegnamento di chi ha fatto la differenza, compiendo fino in fondo il proprio dovere, senza paura. Di chi è morto una volta sola.