Agosto 1914: ultimatum reciproci, offese da lavare nel sangue, denti digrignati e spade arrotate sul bordo del marciapiede. Eserciti in allerta. Voglia di combattere, però, poca o punta. Fino a ieri era così, anche adesso, centodieci anni dopo. Forse perché è agosto. Forse perché tutti sanno che lo scontro, al divenire man mano sempre più ineluttabile, assume più chiari i suoi veri toni e la sua vera natura, essendo i primi quelli della carneficina e la seconda la sua assoluta inutilità. Vale per il Medioriente, vale per l’Ucraina. La cosiddetta operazione militare speciale si è trasformata da tempo in una convenzionale guerra di posizione: doveva essere un blitzkrieg e invece è trincea, mentre anche l’ultima offensiva ucraina non riesce a restituirle i toni dell’epica o anche solo della narrativa.
Ma è il Medioriente a dimostrare in tutto e per tutto quello che è già sufficientemente chiaro, cioè che nuovo sangue non servirà a nulla, se non a ricreare per il domani le condizioni che oggi hanno portato alla tragedia. Nessuno uscirà del tutto sconfitto, nessuno del tutto vincitore. Al momento sono emerse le divergenze all’interno del regime iraniano, dove la Guida della Rivoluzione, Khamenei, prima pare lasciarsi convincere a rinunciare alla guerra totale dal neoeletto presidente Pezeshkian, un moderato, ma subito dopo lo umilia imponendogli la nomina di un governo dove gli elementi ultraconservatori sono fortissimi, se non proprio preponderanti. In Israele il governo si regge sugli stecchi dell’emergenza militare: appena questa finirà Netanyahu dovrà fare i conti con i propri terribili fallimenti. I due, Netanyahu e Khamenei, hanno nello scontro l’unica chance di sopravvivenza politica, e le conseguenze si vedono. Ma quando il polverone si abbasserà, la nebbia si diraderà e non resterà altro che contare i morti della crisi, che è stata scatenata dai pogrom del 7 ottobre e dalla sproporzionata reazione israeliana, sarà chiaro quanto tutto questo sia stato un crimine ed un errore. E, soprattutto, quanto sia stato inutile.Nessuna potenza regionale potrà mai assumere una posizione egemonica in Medioriente. Troppi sono gli attori, troppo profonde le rivalità storiche.
Anche la Turchia, che di tanto in tanto fa per riaffacciarsi in quello che una volta era il suo cortile di casa, ogni volta è costretta a rinviare il gran rientro. Nessuno accetterà una preponderanza israeliana, ma nessuno acconsentirà ad una influenza iraniana. I paesi arabi, da parte loro, non sono più quelle “tribù cui abbiamo dato delle bandiere”, come dicevano sprezzanti una volta gli inglesi, ma finora ogni tentativo dei singoli di assumere un ruolo di guida è finito frustrato e umiliato. Quindi affidarsi alle armi è al momento inevitabile per coloro che hanno finora fallito, ma non ci si illuda che ciò fornisca una benché minima soluzione per il futuro. Protrarrà, anzi, gli odi e le rivalse, in preparazione dello scontro successivo. Così: giorno dopo giorno, anno dopo anno.
L’unico elemento di autentica novità che è stato possibile registrare, in questi mesi, è la lenta ma costante affermazione egli Usa della constituency elettorale araba. Quattro anni fa era inesistente; a marzo ha fatto tremare lo staff di Biden scrivendo la propria astensione nelle schede delle primarie del Midwest, adesso una Kamala Harris in testa nei sondaggi critica avverte apertamente gli israeliani sul dovere di non colpire obiettivi civili. E se Netanyahu bombarda le scuole, la cosa ha più il sapore della sfida rabbiosa di chi non riesce più a prevalere che non del freddo calcolo militare. Inoltre un Trump che otto anni fa prometteva l’apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme (promessa mantenuta) oggi, sul Medioriente, rinuncia a molte delle sue spacconate. Il futuro ci dirà se la crescita della comunità araba americana cambierà in tutto o in parte il corso della politica americana e non solo. Nel frattempo assistiamo all’ennesima, grande crisi mediorientale: con la certezza che nulla cambierà, che le spade continueranno ad essere affilate sul bordo dei marciapiedi e che qualcuno attenderà da un momento all’altro la prossima, inutile, strage. È agosto. È il 1914.