Enciclica di pace scritta in tempo di guerra

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Per “sopravvivere alle guerre” e costruire la pace, Francesco esorta l’umanità a “ritornare al cuore”. Il primo pontefice proveniente dal Nuovo Mondo incentra “Dilexit nos” sul monito a “non diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi del mercato”. La quarta enciclica di Jorge Mario Bergoglio è dedicata al culto del Sacro Cuore di Gesù e si configura come un intenso atto d’amore verso Dio, la Chiesa e tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Solo incontrando l’amore di Gesù, infatti, “diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”.

Nel testo si coglie con chiarezza e gioia la dimensione del popolo, che si fonde e cresce su una Parola di Dio letta nella storia e nella vita dei popoli e dei poveri, il cui ascolto libera, dà speranza, integra, guarisce, dà conforto nelle difficoltà. Lo si percepisce nelle pagine della nuova enciclica così come nei canti e nelle manifestazioni festose di religiosità popolare. Il Papa chiede al Signore di avere “ancora una volta compassione” della terra ferita dai conflitti armati, dagli squilibri socioeconomici, dal consumismo e dall’uso anti-umano della tecnologia.

Aperta da una introduzione e articolata in cinque capitoli, “Dilexit nos” richiama la centralità del “cuore che unisce i frammenti” e rende possibile “qualsiasi legame autentico”. Al contrario “una relazione che non è costruita con il cuore” è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo. Un afflato che richiama la storica allocuzione pronunciata da San Paolo VI in conclusione del Vaticano II. Per inquadrare nella storia del pensiero ecclesiale il nuovo documento pontificio è utile rintracciarne l’ispirazione conciliare. Si respira, infatti, una vivificante brezza di spiritualità che lo connette all’atteggiamento di amore che già ispirava i padri conciliari e che ha portato, tra i suoi molteplici frutti, ad un modo nuovo di guardare alla vocazione e alla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. Ciò ha trovato ispirazione anzitutto nelle due grandi costituzioni “Lumen Gentium” e “Gaudium et Spes”.

La vocazione cristiana è per sua natura chiamata all’apostolato, per cui l’annuncio del Vangelo non è riservato ad alcuni “professionisti della missione”, ma deve essere l’anelito profondo di tutti i fedeli laici. In virtù del loro Battesimo, non solo concorrono all’animazione cristiana delle realtà temporali, ma anche alle opere di esplicita evangelizzazione, di annuncio e di santificazione degli uomini. “Vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore”, scrive il Papa in un momento drammatico per l’umanità scossa da guerre e violenze di ogni genere. “Dilexit nos”, presentata ieri in Vaticano, rilancia il messaggio dell’amore divino che viene a salvare. “Quando siamo tentati di navigare in superficie, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”, evidenzia il Santo Padre. In Europa i credenti appaiono sulla difensiva e sulla preservazione dell’esistente e sembrano meno fiduciosi sull’opera di Dio nella storia. Francesco, invece, è simbolo della vitalità e dello spirito latinoamericano che più che della esatta formulazione dogmatica, tanto cara agli europei, si preoccupa della traduzione in azione e testimonianza del messaggio evangelico.

Il programma di ogni papa è dato dal Vangelo e dalla sua interpretazione così come si è configurata nella tradizione. L’ecumenismo di Jorge Mario Bergoglio si riallaccia all’incontro di Giovanni XXIII con Jules Isaac del 13 giugno 1960, che gli parlò della teologia del disprezzo e dell’antisemitismo. Giovanni XXIII conosceva la sofferenza degli ebrei da delegato apostolico a Istanbul, dove si era adoperato per la loro salvezza. Francesco riprende questa idea dell’incontro fraterno, che crea relazioni e aiuta a superare antichi steccati. Ne sono dimostrazione la visita a sorpresa alla Chiesa Evangelica della Riconciliazione a Caserta, o quella ai Valdesi, alla comunità Luterana a Roma, e gli incontri con patriarchi delle Chiese ortodosse o Antiche Chiese Orientali. È l’ecumenismo dell’incontro più che dei documenti: aiuta ad avvicinare spiritualmente guarendo antiche ferite e pregiudizi. Francesco, poi, desidera una Chiesa povera per i poveri. L’amore per gli “invisibili” e la loro inclusione nella comunità, nel rispetto delle differenze, si pone come una dimensione costitutiva dell’essere cristiano. Francesco porta a compimento un aspetto del vivere della Chiesa che diventa fondamentale per il suo stesso esistere e configurarsi come porta aperta a tutti, e particolarmente agli esclusi. La Chiesa nello smarrimento del mondo moderno, ha certezze da dare e splende come un faro nella notte, trasformandosi in fiaccola che va a portare luce nelle periferie geografiche ed esistenziali. La personalità dei papi, come di tutti, è complessa e non è mai di un colore solo. Benedetto XVI aveva portato alla Chiesa e al mondo la sua profonda preparazione teologica e di pensatore, cercando di condurre all’essenziale il messaggio evangelico, che talvolta sembra dissolversi nella cultura moderna.

Nella quarta enciclica di Francesco emerge, invece, tutta la pastoralità della sua azione nello sforzo del dialogo con il mondo moderno e anche con i lontani, che alle volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi, che manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù che frequentava pubblicani e stranieri e accettava gesti di venerazione da prostitute. Quella di Francesco si conferma una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico iniziato sessant’anni fa. Ne è segno tangibile il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei, verso le Chiese non cattoliche e anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni, riconoscendo “semi del Verbo”, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede. Spiega Francesco in questa enciclica di pace scritta in tempo di guerra: “Basta guardare e ascoltare le donne anziane che sono prigioniere di questi conflitti devastanti. È straziante vederle piangere i nipoti uccisi”. Quindi scaricare la colpa sugli altri non risolve un dramma vergognoso ed è testimonianza di un mondo senza cuore”. Oggi tutto si compra e si paga e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. “Solo Cristo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito”, assicura il Papa, pacificatore dei cuori.