L’esordio del Parlamento in versione “small” è previsto il 13 ottobre, giorno in cui i parlamentari neo eletti si riuniranno per la prima volta. L’art. 61 della Costituzione stabilisce che le Camere devono essere convocate “non oltre il ventesimo giorno” dalle votazioni. L’appuntamento più atteso è l’elezione dei Presidenti di Senato e Camera. Solo una volta scelti i vertici dei due rami del Parlamento e costituiti i gruppi parlamentari prenderanno il via le consultazioni del Capo dello Stato per la formazione del nuovo Governo. Saranno i Presidenti provvisori Rosato alla Camera e Segre al Senato a procedere alla proclamazione dei Presidenti eletti.
I Presidenti d’Assemblea hanno rappresentato, per un periodo della storia repubblicana, elemento di raccordo tra maggioranza e opposizione. Secondo una regola non scritta osservata dai partiti dal 1976 al 1994 l’ufficio di Presidente della Camera veniva ricoperto da un esponente del maggiore partito di opposizione. Nilde Iotti – figura di spicco del partito comunista, che in virtù della conventio ad excludendum rimase per lungo tempo all’opposizione – fu la prima donna a ricoprire quel ruolo, incarico che detenne per tre legislature, dal 1979 al 1992.
La prassi di affidare la Presidenza di Montecitorio a una personalità estranea alla maggioranza mirava a coinvolgere anche l’opposizione nelle dinamiche istituzionali. Ciò al fine di ammorbidire il modello di democrazia bloccata che non contemplava una regola di alternanza alla guida del Paese, a differenza di quanto avveniva in altre democrazie liberali.
I Presidenti d’Assemblea erano espressione di un modello consensuale di relazioni tra maggioranza e opposizione e possedevano una legittimazione politica molto ampia che induceva a classificare il Presidente come garante della Costituzione. Collocato in una posizione super partes dalla sent. n. 9 del 1959 della Corte costituzionale. Una sorta di Speaker della Camera dei comuni del Regno Unito, che fin dal 1700, ha sempre mantenuto il ruolo di arbitro neutrale.
A partire dalla riforma elettorale del 1993, in seguito all’evoluzione in senso maggioritario del metodo di voto, i partiti si sono presentati dinanzi al corpo elettorale in coalizioni alternative, contendendosi il diritto di assumere la guida del Paese. Tale evoluzione della forma di governo nel senso di un parlamentarismo maggioritario ha favorito la connotazione competitiva del sistema politico – istituzionale. Sulla scia del motto the winner takes it all venne abbandonata la convenzione di offrire una delle due Presidenze alla coalizione perdente. Si diede vita ad una nuova regola, in forza della quale gli scranni più alti delle Assemblee legislative vennero entrambi ricoperti da esponenti della maggioranza parlamentare.
Così, dalla XII alla XVII legislatura i due Presidenti sono esponenti dello schieramento vincente, quale effetto quasi scontato della postura conflittuale, legata ad un certo modo di interpretare il bipolarismo. Addirittura, in due occasioni nel 1994 e nel 2013 la Presidenza del Senato è stata assegnata ricorrendo al ballottaggio. Dal 1994 al 2013 sono stati eletti Presidenti della Camera leader di partiti minori della coalizione di governo (Casini, Bertinotti e Fini), mentre lo scranno più alto di Palazzo Madama è stato ricoperto da esponenti della forza parlamentare maggiormente rappresentata. La scelta dei ruoli apicali delle Camere ha fortemente segnato gli accordi di coalizione, con la ricaduta di un minore peso del partito lo esprimeva nella composizione dell’Esecutivo.
La fine dell’impostazione compromissoria nei rapporti tra maggioranza e opposizione ha posto in crisi le garanzie del pluralismo, all’interno del modello maggioritario. Le norme regolamentari, infatti, richiedono, per il primo scrutinio, la maggioranza dei due terzi dei componenti della Camera dei deputati (art. 4 Reg. Cam.), al Senato, invece, basta la maggioranza assoluta dei componenti. A partire dal quarto scrutinio per eleggere il Presidente è sufficiente la maggioranza assoluta dei presenti alla Camera, mentre in Senato si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati (art. 4 Reg. Sen.). In quella fase storica si collocano le proposte di riforma che avrebbero voluto introdurre maggioranze qualificate. Allo scopo di evitare che i Presidenti dei due rami del Parlamento fossero espressione della sola compagine di governo e venissero scelti anche grazie alla partecipazione di almeno una parte dei gruppi minoritari.
Nella XVIII legislatura, caratterizzata da un quadro molto fluido senza una chiara maggioranza uscita dalle urne, i Presidenti sono stati eletti grazie ad un accordo traversale tra Lega e M5S. Così la Presidenza del Senato è stata assegnata a Forza Italia che, in quell’epoca, sedeva tra i banchi dell’opposizione. Anche se, come si apprende da indiscrezioni di stampa, la leader di FdI ha mostrato la disponibilità a lasciare una delle due Presidente all’opposizione, all’interno dalla coalizione di centro destra sembra prevalere la volontà di un ripristino della antica convenzione che assegna la scelta di entrambi i Presidenti ai partiti di maggioranza.