L’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica si svolge in un momento eccezionale per la vita del Paese, segnato ancora dall’emergenza sanitaria. Una congiuntura inedita determinata anche dal fatto che il Parlamento è abbastanza vicino alla sua scadenza naturale.
La lunga liturgia istituzionale del voto per il Colle deve fare i conti con le prescrizioni anti – Covid. Spalti necessariamente semivuoti, finestroni dell’aula aperti sul cortile perché il voto possa avvenire in sicurezza, allestimento di un drive–in nel parcheggio di Montecitorio, per consentire anche ai positivi di esprimere la loro preferenza.
Solo due volte, per Cossiga e Ciampi, la partita del Quirinale si è risolta alla prima votazione. Due capolavori della politica. C’è ancora spazio per una soluzione condivisa. Dalla quarta votazione è, infatti, sufficiente il raggiungimento della maggioranza assoluta dei c.d. grandi elettori.
Gli articoli della Costituzione dedicati al Capo dello Stato disegnano una figura fondamentale di unità e di coordinamento dei supremi organi dell’ordinamento. Dalle norme costituzionali emerge una figura dinamica, capace di mettere in luce la flessibilità dei poteri quirinalizi. Una cornice di regole che mantiene ampi margini di duttilità per rispondere alla realtà politica e sociale.
In settantacinque anni di storia repubblicana le attribuzioni del Capo dello Stato si sono modulate in ragione dei particolari momenti istituzionali. A volte accentuando i compiti di garanzia, altre volte quelli di stimolo e di impulso. Questa peculiare plasmabilità costituisce una risorsa per l’istituto della Presidenza della Repubblica: struttura garantistica e struttura governante insieme. Per riprendere il titolo di un saggio del 1984 di Serio Galeotti.
Il Presidente della Repubblica non rientra in nessuno dei tre tradizionali poteri e si colloca nel sistema come un potere connotato da imparzialità. Nello stesso tempo, estraneo alla funzione di governo e sganciato da qualsiasi orientamento politico contingente. Per realizzare i propositi dei Padri fondatori, deve rappresentare tutti e non solo una parte. Egli è il garante dell’organizzazione costituzionale che opera con un certo margine di discrezionalità, sebbene vincolato ai principi scritti in Costituzione.
Il mandato del Presidente Mattarella ha mostrato come i cittadini ripongano fiducia nelle istituzioni politiche che mostrano vicinanza ai bisogni reali delle persone.
Al quarto scrutinio le schede bianche si potrebbero trasformare in un consenso ad una personalità condivisa e autorevole. La fisionomia costituzionale del Capo dello Stato sembrerebbe poter coincidere con la persona dell’attuale Presidente del Consiglio. La personalità italiana più accreditata a livello internazionale. La Cei esorta il Parlamento in seduta comune ad ascoltare il “desiderio di unità” manifestato dal Paese.
Nell’eventualità di un trasferimento da Palazzo Chigi al Colle più alto, Draghi, prima del giuramento, si dovrà dimettere nelle mani del Presidente della Repubblica Mattarella. Infatti, l’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. Non vi sono precedenti, perché non si è mai verificato che un Presidente del Consiglio in carica sia stato eletto Capo dello Stato. Per il passo successivo la soluzione si potrebbe rintracciare nella legge n. 400 del 1988 in cui si dispone che nel caso di assenza o di impedimento del Premier la supplenza spetta al Vicepresidente del Consiglio. Quando non sia stato nominato un Vice, al ministro più anziano secondo l’età.
A quel punto il Premier supplente dovrà recarsi dal Presidente della Repubblica neo eletto, per rimettere il mandato, come atto di cortesia istituzionale. Dimissioni che, a sua volta, dovranno essere respinte dal nuovo inquilino del Quirinale. Ma a quel punto saremo già ad un nuovo capitolo di questa spericolata legislatura. Ancora tutto da scrivere.