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Ecumenismo: l’urgenza di riscoprirsi fratelli

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La missione dell’ecumenismo è quella di farci riscoprire fratelli. Nell’intervista al Tg1 papa Francesco ha ribadito la preoccupazione per l’antisemitismo che dilaga tra i giovani. Nell’episcopato del Lazio il vescovo Ambrogio Spreafico presiede la Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. “Devo dire con amarezza che l’antisemitismo purtroppo è ancora radicato in parte nella cultura cristiana“, osserva il presule sull’onda antisemita. In Europa vengono presi di mira i simboli dell’ebraismo. “Si tratta di un problema serio che emerge sempre nei momenti critici. Come ora con il conflitto israelo-palestinese – prosegue monsignor Spreafico-. Questa è la tragica realtà. La Chiesa ha fatto grandi passi in avanti. Dalla ‘Nostra Aetate’ in poi, ci sono stati tanti documenti, relazioni, convegni. Tutti elementi che nella nostra Chiesa ci hanno spinto ad avere rapporti fraterni. A riaffermalo fu anche Giovanni Paolo II nella storica visita alla sinagoga di Roma“. La Chiesa da decenni cerca di farci capire come le scritture ebraiche vadano interpretate all’interno della Bibbia cristiana. “Ho suggerito tante volte nelle facoltà di teologia di approfondire il tema con letture specifiche della Pontificia Commissione Biblica a firma del cardinale Ratzinger quando era prefetto della Dottrina della Fede– puntualizza il vescovo-. Qui si spiega come leggere l’Antico testamento all’interno della Bibbia cristiana. Ci sono suggerimenti, anche sulle controversie di Gesù coi farisei. I testi vanno capiti. Dobbiamo insomma attrezzarci. Per recepire nelle nostre comunità cristiane e cattoliche un magistero della Chiesa che non è entrato spesso nella cultura. Nella catechesi. Nel modo di pensare all’ebraismo”. Proprio per sensibilizzare le comunità opera la commissione delle diocesi del Lazio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Attraverso conferenze comuni tra cristiani e rabbini sulla Bibbia ebraica. Si tratta di fare capire il valore della Bibbia ebraica che è parte consistente della Bibbia cristiana.Riconciliazione necessaria anche tra i seguaci di Gesù. La riscoperta della fraternità tra i cristiani, come scrisse Giovanni Paolo II nell’enciclica “Ut Unum Sint”, rappresenta il grande frutto del cammino ecumenico. Il Concilio ha rappresentato la svolta che ha consentito la partecipazione cattolica al movimento ecumenico. Tra gli elementi di questa svolta, la costituzione del Segretariato per l’unione dei cristiani. La presenza al Concilio di osservatori non cattolici. I documenti conciliari. La domanda e l’offerta di perdono da parte di Paolo VI agli altri cristiani per i peccati commessi contro l’umanità. A partire dal 1965 la Chiesa cattolica è entrata in dialogo, a livello internazionale e locale con tutte le altre grandi famiglie di Chiese cristiane. I dialoghi bilaterali con le principali famiglie confessionali e comunioni cristiane mondiali rappresentano una forma di impegno ecumenico. Un’impostazione di fondo, particolarmente congeniale alla Chiesa cattolica. Il 5 dicembre 1965, nel corso di un’udienza generale, Paolo VI disse che il Concilio, per sua natura, è un fatto che deve durare. Se davvero esso è stato un atto storico e decisivo per la vita della Chiesa, va alimentato di continuo.- Perché “è chiaro che lo troveremo sui nostri passi ancora per lungo tempo. Ed è bene che sia così“.E così è stato, da sei decenni a questa parte, senza smentire, nemmeno per un istante, la profetica considerazione del primo papa moderno (come lo hanno definito i biografi) che accompagna la Chiesa a misurarsi con le intuizioni del Concilio Vaticano II. Un evento – precisava Paolo VI – “che prolunga i suoi effetti ben oltre il periodo della sua effettiva celebrazione. Deve durare, deve farsi sentire, deve influire sulla vita della Chiesa”. In occasione del 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965-2015) è stato pubblicato un volume, Il Concilio Vaticano II in Italia cinquant’anni dopo, curato da padre Aldino Cazzago (Roma 2015, pagina 124). Si tratta di una breve raccolta di saggi (la santità, il laicato, il catecumenato, i movimenti e l’arte sacra). Scritti con l’intento di aiutare a comprendere in che modo alcuni degli insegnamenti del Concilio sono stati recepiti e poi tradotti nella vita della Chiesa italiana. Oggi, secondo Cazzago, la conoscenza del Concilio, della genesi dei suoi documenti e dei suoi principali protagonisti ha fatto enormi passi in avanti. Grazie, poi, alla recente pubblicazione di numerosi diari, memorie e materiale d’archivio dei protagonisti dei lavori conciliari, si è diffusa una miglior consapevolezza del clima e delle fatiche, delle gioie e delle delusioni che, seppur nascosti, stanno dietro l’elaborazione di ogni documento.E’ utile riferirsi alle parole di Francesco nella bolla di indizione dell’anno della misericordia quando scrive che la Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo l’evento del Concilio. Non va dimenticato, infatti, che in un Concilio è coinvolta la Chiesa intera e non solo la Chiesa di questa o quella nazione. Anche il superiore generale dei carmelitani, padre Anastasio Ballestrero, partecipò al Concilio. Il cardinale Ballestrero, che fu vescovo di Bari e di Torino e presidente della Cei dal 1979 al 1985, ebbe sempre un giudizio assolutamente positivo sul Concilio. Negli ultimi anni della sua vita ripeteva spesso che è necessario continuare a meditare i testi del Concilio e renderli ispiratori dell’opera quotidiana di ciascuno. Paragonava il Concilio ad una primavera che ha avuto anche forti acquazzoni ma dei quali non bisogna avere paura. Intanto, però, molti chiedono un nuovo Concilio, un Vaticano III. A metà degli anni Settanta, il cardinale Pellegrino, conversando con il professor Giuseppe Lazzati disse che nella Chiesa qualcuno era ancora fermo al Vaticano I e che altri erano già passati al Vaticano III. In realtà il Concilio va apprezzato, prima che per le riforme a cui ha dato avvio, per il modo di pensare a cui ha dato forma. Paolo VI, ad una settimana dalla fine dei lavori conciliari, disse che il rinnovamento conciliare non si misura tanto dai cambiamenti di usi e norme esteriori. Quanto dal cambiamento di certe abitudini mentali. Quindi, secondo padre Cazzago, sarebbe necessario verificare bene ciò che del Vaticano II è stato attuato. E ciò che resta ancora da attuare. Questa richiesta era stata formulata anche da Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000 nella Novo Millennio Ineunte, la lettera nella quale paragona il Concilio ad una “bussola” che la Chiesa deve usare per orientarsi “nel cammino del secolo che si apre”. Le parole di Giovanni Paolo II sono ancor più significative se applicate ad esempio alle Chiese dell’Europa dell’Est uscite solo dopo il 1989 dal lungo inverno della mancanza di libertà e in particolare di quella religiosa.

 

Giacomo Galeazzi: