Il Signore ha sempre una prospettiva diversa dalla nostra. Per questo abbiamo bisogno della conversione, per passare dal nostro modo di pensare, basato sulla giustizia, a quello di Dio, fondato sull’Amore. Il perdono, come dice la parola, non è un’opera nostra, ma è un dono di Dio. Non è nelle nostre capacità, non ce la possiamo fare da soli. In noi deve nascere il desiderio di perdonare che è frutto dell’esperienza del perdono che noi riceviamo dal Signore, un perdono senza limiti, senza condizioni, con una fiducia che quasi ci scandalizza: ma poi il poter perdonare è un’opera che compie in noi lo Spirito Santo.
La parabola del servo spietato infatti mostra come la capacità di perdonare nasca dal riconoscersi peccatori davanti a Dio; è l’incontro con la misericordia di Cristo che ci rende possibile perdonare il prossimo. Donare il perdono per chi è stato ingiusto con noi, essere liberati dal risentimento o dall’odio che amareggiano la nostra vita, ci restituisce la Benedizione di Dio, la Sua benevolenza.
Se chiedessimo al Signore questo dono, invece della giustizia, i matrimoni in difficoltà, le amicizie o quei rapporti familiari rovinati da interessi o invidie si potrebbero salvare: quello che unisce una coppia di sposi non è non litigare mai, ma saper riconoscere i propri errori, accettare quelli dell’altro, chiedersi perdono. Per questo abbiamo bisogno di Cristo: il perdono ricostruisce quello che tante volte noi abbiamo rovinato.
San Giovanni Crisostomo, che la Chiesa ha ricordato mercoledì scorso, nel suo commento al Vangelo di oggi scriveva: “Ma tu dici che sei stato offeso dal tuo nemico. Ebbene, abbi compassione di lui e non odiarlo; compiangilo vivamente, non disprezzarlo. Infatti, non sei stato tu ad offendere Dio, ma lui; tu, invece, hai acquistato gloria se hai sopportato con pazienza il suo odio” (Omelie su Matteo 61, 5).