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Ecco come trasformare la nostra vita in una liturgia d’amore

Dio non esige nulla da noi, ma si compiace che siamo felici e grati, contenti, pieni di gratitudine, desiderosi di stare con Lui: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Solo chi ha incontrato davvero Cristo lo segue con fiducia.

Così da come va la nostra vita, ci rendiamo conto quale pastore stiamo seguendo: ci sono tante possibilità per cercare una vita realizzata, ma una sola è quella che ci porta alla Pace del cuore e alla capacità di amare. Soldi, potere, successo, piacere di tutti i tipi…ma niente è paragonabile alla gioia di sentirci amati da Lui.

Cristo vorrebbe che la nostra vita divenisse una liturgia di amore, che può nascere solo dalla gratitudine a Dio: grati che esiste, che ci ama e ha vinto la morte per noi, grati che oggi ci fa vivere questo tempo di Pasqua. In Cristo siamo chiamati a vivere la vita come una liturgia di santità.

Nella prima lettura di oggi degli Atti degli apostoli ascoltiamo come questa sia la testimonianza che l’uomo che ha incontrato Cristo mostra al mondo: «All’udire ciò i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero».

Gesù invita tutti i cristiani, a cominciare dai pastori, i sacerdoti, a mostrare con la loro vita la bellezza di sentirsi amati da Dio. È quello che abbiamo visto per tanti anni nella testimonianza di San Giovanni Paolo II, un esempio che ha convertito a Cristo tanti cuori: quanta Speranza, quanto autentico era il Suo entusiasmo e vero il suo messaggio che conquistava soprattutto i giovani!

Molti di noi eravamo lì, quella notte di agosto di inizio millennio, in cui commosso ci disse: «Cari giovani, è difficile credere in un mondo così? Nel Duemila è difficile credere? Sì! È difficile. Non è il caso di nasconderlo. È difficile, ma con l’aiuto della grazia è possibile, come Gesù spiegò a Pietro: “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17)» (dall’Omelia della Veglia di Preghiera di Tor Vergata, 19 agosto 2000).

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