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Draghi ed il cambiamento europeo

Rimarrà nella storia d’Europa ed in quella d’Italia il discorso di Mario Draghi a Strasburgo. L’attesa di ascoltare il premier italiano è stata ripagata dalla profondità della sua comunicazione che è stata vissuta dagli eurodeputati come un’indicazione espressa da un grande statista, da una guida dell’Unione Europea. Ed in effetti gli europei hanno bisogno di chi può dare loro una direzione, spaesati da situazioni da fronteggiare che nessuno avrebbe messo in conto.

Penso alle difficoltà provenienti da una pandemia, che nel nostro immaginario abbiamo ritenuto da almeno un secolo ormai non poter minacciare salute e vita delle persone. Così come pensare di poter approvvigionarci del bene primario strategico per la vita civile ed industriale, come è la risorsa energetica, al pari di beni ordinari che compriamo al mercato del sabato del nostro quartiere. Un grave errore anche pensare che si potesse convivere con autocrati invasori seriali, senza dotarsi di alcuna precauzione, senza provvedere alla propria sicurezza, pur essendo grande potenza economica mondiale.

Mario Draghi dunque ha inteso richiamare gli europei alla propria responsabilità sui temi più scottanti della propria autonomia e sicurezza, sui nodi economici ed energetici, sulla madre di tutte le soluzioni che è la costituzione dell’Europa Federale. Ed intanto ha posto il nodo da sciogliere subito: quello di superare il sistema di veto, che permette per trattato tra gli Stati membri di decidere su qualsiasi argomento, alla sola assurda condizione della unanimità. E’ sin troppo chiaro che in situazioni complesse e di emergenza, pretendere che tutti e ventisette gli Stati siano d’accordo, è un pesante criterio che porta alla immobilità. Ed invece il cambiamento è necessario per raggiungere il “federalismo pragmatico” in grado di affrontare con efficacia ogni ambito colpito da trasformazioni che conviene a tutti poter sostenere con più potenza ottenibile con un’unica entità statuale continentale.

Infatti l’economia, l’energia, le relazioni diplomatiche, la sicurezza, potranno meglio gestirsi come è stato già fatto con la pandemia e la programmazione e finanziamento della transizione energetica, digitale e degli investimenti nella istruzione ed infrastrutture. Sino alle difficoltà pandemiche e all’invasione dell’Ucraina l’obbiettivo dell’edificazione dell’Europa Federale non era a portata di mano. Soprattutto i paesi dell’est e del nord Europa erano più interessati alla loro sovranità nazionale. Ora comprendono che i rischi incombenti per la sicurezza e l’economia richiedono dimensioni statuali più grandi per mantenere la propria sovranità e controllo delle situazioni. Insomma, si fa strada l’idea che gran parte delle certezze fondate ed infondate, svaniranno come polvere nel vento e che si sta già prospettando un confronto molto serrato tra democrazia e dittature e che i commerci e le alleanze sono destinate a marcare fortemente i confini nel mondo.

Dopo la direzione data da Draghi, e dopo la rielezione di Macron alla presidenza della Repubblica francese, c’è da scommettere che si possa incalzare subito il cancelliere tedesco a costituire un trittico in grado di spingere tutta l’Europa verso orizzonti nuovi e necessari. Sono sicuro che con l’evoluzione europea la pace sarà più a portata di mano. Tant’è che sono molti a pensare che siamo stati noi stessi, del tutto disattenti alla sicurezza nostra e delle aree regionali geopolitiche prossime, ad aver incoraggiato Putin a concepire i suoi scellerati piani. Si sentiva sicuro che ancora una volta ci saremmo voltati dall’altra parte.

Raffaele Bonanni: