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Domenica della Parola Divina: abbracciamo con gioia la presenza di Dio

La domenica della Parola divina, che si celebra oggi, è in un certo senso una celebrazione della nostra rubrica. Ci permette di abbracciare con gratitudine l’immensità della presenza di Dio nella sua Parola, oltre a sensibilizzarci ancora di più al contesto naturale e biblico della nostra vita. In questo spirito, proviamo a ripensare il brano evangelico di oggi.

Oggi la paura è sempre più diffusa ed efficace. Priva le persone del proposito di agire e le costringe alla passività. La sua fonte è il male, che si impone con prepotenza e quindi distrugge ogni ostacolo che incontra. Affrontare il male (necessario per evitare che ci consumi completamente) significa opporsi costantemente alla paura, agire contro di essa. Ciò richiede coraggio e determinazione, che oggi scarseggiano sempre più. La maggior parte delle persone non vuole correre rischi, ha paura di perdere le comodità che ha raggiunto; quindi, preferisce la scelta di non opporsi male. In qualche modo vivono nell’attesa. Così facendo, gli cedono il campo.

L’atteggiamento del Signore Gesù descritto nella lettura di oggi mostra una linea di condotta molto diversa. E lo fa in modo così forte da non lasciare dubbi sulla necessità di farla nostra.

Già la prima frase, che colloca nel tempo gli eventi della pericope odierna, trasuda paura. Parla dell’arresto di Giovanni. Lo fa di sfuggita, ma – se consideriamo la posizione di Giovanni nel Vangelo – è impossibile non provare orrore. Qui apprendiamo che questo profeta intransigente, nobile e austero, umile nella sua missione di preparare la venuta del Messia, viene arrestato.

Naturalmente conosciamo la storia di Giovanni, il suo eloquente conflitto con Erode e la sua fine. Tuttavia, nel Vangelo di San Marco non se ne fa menzione. Dopo la presentazione della predicazione di Giovanni e dopo un breve resoconto del battesimo di Cristo a Joran, improvvisamente c’è questo accenno all’arresto. Non viene spiegato chi ha effettuato questo arresto e perché lo ha fatto. Tuttavia, cade un’ombra sulla narrazione fino a quel momento, tanto più significativa perché poi leggiamo informazioni sulle azioni del Signore Gesù. Come se nulla fosse accaduto. E qui tocchiamo l’essenza drammatica del messaggio: qui, con un profeta arrestato, un secondo – indicato e annunciato dal primo, tra l’altro – inizia ad agire, come se nulla fosse accaduto. A poco a poco, oltre a proclamare il suo impegnativo messaggio, recluta i suoi discepoli – e lo fa in modo efficace. Si rendono conto di ciò che stanno facendo e dei rischi che comportano? E Gesù stesso ne è consapevole? Certamente, così come è consapevole della sua missione. Conosce fin troppo bene il destino di Giovanni. Sa che Giovanni è imprigionato e che subirà la morte per la verità, cioè per Gesù. Inoltre, sa anche cosa accadrà ai discepoli appena chiamati: la stessa sorte di Giovanni: l’arresto e poi la morte. Eppure, nonostante tutto questo, agisce. Sa che deve agire. È venuto per questo. Deve essere determinato e implacabile proprio di fronte al male che si cela dietro l’incarcerazione di Giovanni e che alla fine metterà lui – e gli apostoli che ha chiamato – in prigione e infine lo ucciderà.

Questa stessa, drammatica determinazione di fronte al male, con l’esposizione di sé e degli altri, è l’unico modo per resistere alla fine al male. È il cammino della salvezza. Il vecchio Simeone non ha forse definito il Signore Gesù “un segno a cui si opporranno”? E il Signore Gesù stesso non ha forse annunciato difficoltà e persecuzioni per coloro che lo avrebbero seguito? Eppure, Egli chiama tutti. Proprio su questo cammino. Perché Lui sa che questo è l’unico modo per resistere al male: con la forza della sua croce e della sua risurrezione.

A maggior ragione, quindi, non lasciamoci terrorizzare dal male. Quanto più terribile sembra, tanto più siamo determinati a seguire il Salvatore. Anche se dovesse costarci tutto. Ne va del destino del mondo.

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