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Il diritto alla bellezza come fattore di emancipazione e di sviluppo

Avvicinare i giovani alla bellezza costituisce una missione fondamentale delle comunità. Come in un movimento circolare, chi riceve il dono del bello è in grado di restituirlo in termini di giustizia, onestà, sacrificio, talento, determinazione, altruismo. In effetti, nella cultura greca, l’ideale della perfezione fisica e morale dell’uomo veniva espresso dalla crasi di due parole kalòs (bello) e agathòs (buono), cioè l’identità tra ciò che è bello e ciò che è buono, riferito sia persone sia alle cose immateriali. Tale teoria, fondata sulla convinzione che dalla complementarità tra bello e buono nasce l’armonia, incoraggia comportamenti a favore del bene comune. Vivere circondati dalla bellezza costituisce un’opportunità che può contribuire a raggiungere uno stato di benessere.

L’importanza del binomio bellezza – appagamento collettivo si ritrova in numerosi documenti normativi. La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 affermava che “tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal creatore dotati di certi inalienabili diritti, che questi vi son la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”. Anche la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 si ispirò a tali principi, scrivendo che l’azione delle istituzioni pubbliche deve tendere alla felicità di tutte le persone. Lo Statuto Albertino invocava espressamente il concetto di Nazione felice; due secoli dopo, nel 1946, la Costituzione dell’impero giapponese prevedeva che “tutte le persone saranno rispettate come individui ed il loro diritto alla vita, alla libertà ed al perseguimento della felicità, entro i limiti del benessere pubblico, costituiranno l’obiettivo supremo nella legislazione e negli affari di governo”.

Il diritto alla felicità ha trovato ingresso all’interno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la cui Assemblea generale ha istituito la Giornata internazionale della Felicità che ricorre il 20 marzo di ogni anno. Nella Risoluzione dell’Onu si legge che “la ricerca della felicità è uno scopo fondamentale dell’umanità” e che occorre compiere “ogni sforzo per un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di ogni individuo”.  L’Agenda 2030 mette al centro i temi dell’inclusione e del superamento della povertà, invitando gli Stati membri, gli organismi internazionali e regionali così come la società civile, incluse le formazioni sociali e i singoli, a realizzare attività educative di crescita della consapevolezza pubblica per promuovere la felicità, attraverso l’attuazione di comportamenti solidali. Modelli normativi che riprendono il pensiero espresso da Gaetano Filangieri. Nell’imponente manuale multidisciplinare di Scienza della legislazione egli sostiene che solo le buone leggi rappresentano una solida base per la felicità nazionale, capaci di elevare il livello di coscienza civile dei cittadini, vettore per l’affermazione del principio costituzionale di eguaglianza.

La felicità è una condizione intima e soggettiva, in cui entra in gioco anche la dimensione familiare e sociale. Dimensioni che si collocano “oltre il Pil” e, dunque, di difficile misurabilità e che interessano, in primo luogo, il contesto in cui conduciamo la nostra esistenza. Tale contesto incide sull’effettivo godimento dei diritti fondamentali. Così, le scelte dei decisori pubblici possono intercettare la felicità delle persone, attraverso la realizzazione di servizi sicuri ed efficienti, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’accesso gratuito ai luoghi di arte e di cultura, la cura dell’ambiente. L’abbattimento degli ecomostri e la costruzione di opere artistiche contribuiscono a potenziare le zone periferiche, migliorando la qualità della vita nei quartieri maggiormente degradati. La costruzione del benessere generale, che si persegue attraverso l’armonia architettonica, costituisce il tentativo per superare il “paradigma sfiduciario”. Una sorta di antidoto al sentimento diffuso di diffidenza che attraversa le società contemporanee, segnate dalle lacerazioni dei conflitti e dal disorientamento delle crisi sociali.

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