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Diciotti, il limbo della vergogna

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Quattro lunghissimi giorni di attesa sul ponte di una nave, attraccati a un molo a qualche centimetro da terra senza poterla toccare. Sembra quasi che l'odissea dei 177 migranti a bordo della nave Diciotti (150 dopo lo sbarco dei minori) abbia trascinato con sé il Paese intero, rimasto coinvolto in una scia polemica che rischia di portarsi dietro a lungo i suoi effetti. Da un lato la posizione del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, rigida a oltranza nel pieno rispetto di quanto promesso in campagna elettorale e, come prevedibile, attaccata da più fronti per la difficoltà diffusa a scindere la strategia politica dall'aspetto umanitario; dall'altro un silenzio assordante da parte di chi, soprattutto in seguito all'eurosummit di qualche mese fa, aveva garantito l'avvio di un programma a supporto del nostro Paese, che lo aiutasse nell'accoglienza e nella successiva ridistribuzione dei migranti attraccati sulle coste italiane.

Le politiche di ridisitribuzione, finora, sono state applicate pienamente in casi di navi rimaste in sosta al largo delle coste, come Aquarius. Non così, contrariamente a quanto prospettato, in altri casi come i 450 sbarcati a Pozzallo, per i quali solo la Francia ha fatto la sua parte accogliendone 47. Nel frattempo, schiacciati nello stallo delle macchine politiche interne e comunitarie, per i 177 profughi a bordo della Diciotti il destino continua a essere nebuloso: non si sa dove e quando scenderanno, né chi e quando li accoglierà. Un limbo perfettamente bilanciato fra la fermezza di un governo che insiste, con tutte le inevitabili ripercussioni del caso, sulla strada dello stop all'immigrazione clandestina (e tutto quel che ne consegue), e un'Europa che, trascorso il quarto giorno di motori spenti a Catania, continua ad auspicare “sforzi” senza tuttavia aver avviato, finora, alcun intervento concreto. Una stasi socio-politica che rischia di infrangere il più elementare, seppur cruciale, dei diritti. Salvare la dignità di quanti sono ancora a bordo, infatti, rappresenta la sfida più urgente, la vera risposta attesa per ricordarci che, al fianco delle strategie delle parti in causa, orbita un obbligo all'umanità che va rispettato.

E i 150 migranti sulla Diciotti, quindi, continuano a far discutere l’Europa, a far litigare la politica italiana, a essere strumento involontario di derisione nei nostri confronti da parte del resto del mondo, che ci osserva con disprezzo. Infatti per molti è incomprensibile la fermezza del Ministro dell’Interno Salvini, che sembra ostile alle persone immigrate mentre in verità risulta più intransigente nei confronti delle rotte criminali e del business internazionale. Il disegno perverso, e più o meno occulto, di favorire una sorta di invasione africana nella sempre più vecchia Europa non è più soltanto un’idea di certi complottisti, bensì di analisti affermati che da decenni studiano il fenomeno migratorio preavvisando sui flussi clandestini incessanti e irrefrenabili. Un ulteriore segnale che dovrebbe spingere la Comunità a lavorare sul progetto dei corridoi umanitari.

Di fatto il Governo, con la convinzione assoluta di Salvini, vuole in primo luogo rendere partecipi i Paesi membri responsabilizzandoli e, pur conoscendo le profonde divisioni di ciascuna nazione, prova a far sentire la voce di questo nostro Paese che cade a pezzi, in tutti i sensi. Tutto questo voler concentrare le attenzioni sul caso della nave ormeggiata a Catania, di fatto sembra distogliere l’opinione pubblica da altri problemi di un Paese che, mai come oggi, ha tante questioni urgenti aperte da risolvere, a partire dai gravi problemi economici. L'auspicio è che venga perlomeno rispettato quel codice d'onore che prevede la tutela immediata delle donne assieme ai minori e che queste possano scendere dalla Diciotti per ricevere le più immediate cure. Il che non dovrà precludere a un lavoro congiunto per trovare una soluzione concorde (e altrettanto rapida) sul destino di tutti coloro che resteranno sul ponte della nave così da preservare la loro dignità di essere umani.

E' insopportabile ascoltare sulla pelle dei più deboli queste lotte ideologiche che mostrano quanto poco interessino realmente queste vite umane, ancora prigioniere di noi occidentali, potenti e prepotenti, che di fatto continuiamo a schiavizzarli senza ritegno. E non penso che qualcuno possa lavarsi facilmente le mani solo perché è cambiato da qualche mese un altro colore politico. Basta con queste falsità finalizzate alle proprie misere e patetiche simpatie di partito che di certo non rispondono ai reali bisogni di chi soffre.

don Aldo Buonaiuto: Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata