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Il dialogo è un ponte, il risentimento è un muro

Logo Interris - La pace al centro del dialogo interreligioso tra S. Sede e Al Azhar

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Come si fa il dialogo? Papa Francesco lo spiega in una meditazione mattutina nella cappella della Casa Santa Marta .”Il dialogo si fa con l’umiltà. Anche a costo di ‘ingoiare tanti rospi‘. Perché non bisogna lasciare che nel nostro cuore crescano ‘muri’ di risentimento e odio“. Il Pontefice esorta a “vedere cosa fa la gelosia. Cosa fa l’invidia. Nelle famiglie. Nelle comunità cristiane“. Sono atteggiamenti negativi che “portano sempre a liti. Divisioni. Odio”. Al contrario Jorge Mario Bergoglio indica “la strada dell’avvicinarsi. Di chiarire la situazione. Di spiegarsi. La strada del dialogo per fare la pace”. Da qui l’esortazione papale ad abbattere “il muro che ci allontana dall’altra persona“. Per non rimanere “isolati nel brodo amaro del nostro risentimento”.E’ dalla volontà di dialogare che “incomincia la strada della pace“. Il dialogo è difficile”. Ma con il dialogo “si costruiscono ponti nel rapporto”. Invece di “muri che ci allontanano“. Per dialogare “non c’è bisogno di alzare la voce”. Ma è “necessaria la mitezza”. Serve il “farsi tutto a tutti”. Cercando sempre di “vedere nell’altro l’immagine di Dio“. Tanti problemi trovano la soluzione “con il dialogo”. In famiglia. “Nelle comunità. Nei quartieri”. E per aprire il dialogo bisogna che “non passi tanto tempo“. I problemi, infatti, vanno affrontati “il più presto possibile“. Perché “il tempo fa crescere il muro”. Proprio come alimenta “l’erba cattiva che impedisce al grano di crescere“. L’esempio è il “muro di Berlino che per tanti anni è stato elemento di divisione”. Più tempo si lascia passare, più aumenta il risentimento. E più è difficile la riconciliazione.La pastoralità dell’azione di Francesco si riflette nello sforzo del dialogo con il mondo moderno. E anche con i lontani. Quelli che alle volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi. Coloro che manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù. Quando frequentava pubblicani e stranieri. E accettava gesti di venerazione
da prostitute. Quella di Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione. Con la stessa tenacia. Di tutto il movimento ecumenico che il Concilio Vaticano II ha benedetto e rafforzato. Con i suoi documenti. Ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei. Verso le Chiese non cattoliche. E anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni. Riconoscendo “semi del Verbo”. Cioè elementi di verità e di bontà. Anche nella loro fede.Le radici conciliari del pontificato di Francesco si ritrovano anche nella povertà. Che è
al centro del Vangelo. E in un filone di testimonianza mai interrotto nella storia della Chiesa. Ogni movimento religioso (come quello benedettino, francescano, gesuita) ha sempre posto la povertà come fondamento. Della propria spiritualità. E la misericordia è l’attuazione della Scrittura. È innegabile l’affievolirsi nei secoli del messaggio di misericordia divina. Che invece pervade tutto l’Antico e il Nuovo Testamento. Forse a molti è sembrato che un Dio che prova compassione venisse impoverito. E troppo spesso è stata attribuita a Dio la concezione umana di giustizia. Che non è la sua. Per fortuna degli uomini. Il Concilio Vaticano II ha contribuito a questa riscoperta. Ma anche gli studi posteriori ad esso.  Lo slancio che porta a Dio è identico allo slancio che porta al prossimo. Sia come singolo. Sia nelle strutture sociali che l’umanità ha creato. Il Vangelo e il Concilio lo documentano. La tentazione è da sempre quella di dividere le due cose. Mentre l’impegno nell’una è la verifica della bontà dell’altro.

Giacomo Galeazzi: