A San Marino ha vinto la retorica del diritto all’aborto e della “liberazione” della donna. Domenica nella piccola e antica Repubblica che prende il nome dal Santo che l’ha fondata il referendum per legalizzare l’interruzione di gravidanza è passato con una maggioranza molto larga di 77,3% Sì contro un 22,7% di contrari. L’affluenza alle urne è stata di circa il 41% degli aventi diritto al voto, il che è indice di un popolo perplesso e lontano da una questione che ormai sembra uscita dal dibattito pubblico.
La cultura dello scarto denunciata da Papa Francesco fa un passo in avanti nonostante le proposte dello Stato di San Marino di farsi carico delle gravidanze in difficoltà. Don Gabriele Mangiarotti, responsabile della pastorale scolastica della diocesi locale, ha parlato di una finta libertà di autodeterminazione che ha prevalso sulla cultura della vita, “un fatto gravissimo che pone la questione dell’educazione, partendo dalla ragione e dalla consapevolezza del valore di ogni vita umana”.
Per i cattolici, così come per le persone non credenti, si apre infatti una stagione di impegno per la vita che deve essere indirizzata sul piano culturale. E’ con la ragione che si dimostra che il soggetto più debole e indifeso è il nascituro nel grembo materno; la fede infatti può rafforzare quello che la scienza già dimostra da sola ovvero che l’essere umano è un continuum dalla fecondazione alla morte naturale ed esiste un processo ininterrotto dello sviluppo, durante il quale la persona si relaziona con il resto del mondo a partire dalla madre, con la quale non ha solo uno scambio emotivo ma anche biologico ed ormonale.
Bisogna quindi contaminare ogni campo della cultura e del sociale, solo dopo questo paziente lavoro si potrà pensare a sostenere uomini e donne che possono cambiare legislazioni mortifere e nichiliste. Chi vuole ridurre la gravidanza ad un fatto privato e lasciare le donne sole in una decisione drammatica ha già perso sul piano etico ma la cappa del pensiero unico ultraliberale, ormai divenuto una sorta dogma moderno, impedisce a molte persone di buonsenso, sinceramente aperte alla vita, di rifiutare le politiche abortiste.
Le emozioni della vita pre-natale, il valore sociale di ogni nascita, l’importanza della natalità per una società che voglia dirsi feconda ed accogliente con tutti, la presenza di un irripetibile essere umano con il suo Dna fin dal concepimento, i traumi e le ferite riportate da una donna che ha fatto l’esperienza di un aborto, l’altruistica possibilità di portare a termine una gravidanza senza l’obbligo di riconoscere un figlio, il ruolo del welfare e la prossimità delle istituzioni pubbliche alle donne in difficoltà sono tutte questioni che possono e devono far breccia nella mente e nel cuore anche del cittadino più ateo di questo mondo.
San Marino è solo l’ultimo di una lista di Paesi – fra cui Argentina, Nuova Zelanda e alcuni stati Usa – che hanno allargato di molto le maglie legislative della pratica abortiva durante la pandemia. Paradossalmente si è risposto con la morte in una situazione in cui la vita è stata a repentaglio per tutti e mentre i sistemi sanitari hanno cercato di salvare più persone possibili.
Ma proprio da parte di chi ha sperimentato gli effetti più nefasti di politiche abortive sembra arrivare una decisione di segno opposto. La Cina comunista, dopo decenni di politica del figlio unico che ha prodotto aborti selettivi di genere (che hanno causato un gap tra maschi e femmine) e un drastico invecchiamento della popolazione, nei giorni scorsi ha varato una stretta sugli aborti, allo scopo di ridurre le interruzioni di gravidanza volontarie “non per scopi terapeutici”. La misura è contenuta nelle nuove linee guida per il miglioramento della “salute riproduttiva delle donne” e nasce dall’esigenza di incoraggiare le famiglie ad avere più figli, in modo da contrastare il calo nascite nel Paese.
Certo va detto che le nuove politiche di Pechino in materia di aborto non sono mosse da motivi etici ma da scopi utilitaristici legati alla tenuta dell’economia e del sistema sociale cinese. Eppure va riconosciuto che la storia dell’umanità percorre sentieri contorti e contraddittori ma che alla fine non possono far meno della forza primigenia della vita che nasce dall’incontro tra un uomo e una donna.