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Il criterio per cambiare l’Italia, l’Europa e l’economia

Alle prese con temi di grande portata come la pandemia, le nuove prospettive della Unione Europea, della gestione del PNRR, dell’invasione russa in Ucraina e della ostilità dichiarata all’Occidente, gran parte delle leadership delle famiglie politiche populiste, si sono sgretolate, sgonfiate, divise. Ormai siamo lontani dal dominio incontrastato che esercitavano sulla politica italiana, almeno da quando Mario Draghi si è insediato a palazzo Chigi. Il piccolo cabotaggio della distribuzione dei denari pubblici, i polveroni divisivi su falsi problemi, non sono stati più sufficienti a mantenere il loro consenso con lo spostamento avvenuto degli assi su temi di grossa portata epocale che sempre richiedono uno spazio largo di vedute e gestioni europea e mondiale.

I cittadini lo notano ad occhio nudo che più di qualcosa cambia, come accade per il sistema della informazione che facilmente, in assenza di sfide, scivola nella logica della confusione. Le pressioni sulla opinione pubblica del “bipopulismo” sono ancora temibili, e tuttavia appaiono più chiare del passato la loro oggettiva o reale compromissione con ambienti opachi nostrani e collegamenti oscuri con le potenze avverse all’Europa ed all’Occidente. In questa condizione di evidente difficoltà della struttura odierna delle principali realtà politiche affermatesi grazie “all’accetta” del sistema elettorale maggioritario che taglia le culture politiche responsabili, occorre riorganizzare la Democrazia italiana.

In questi anni di bipolarismo coatto, gli elettori sono stati ridotti a tifoseria, e allontanato metà di essi dalle urne, alimentato i partiti personali, estremizzata la politica. Nel corso della lunga e fallimentare seconda Repubblica, ci sono stati tanti annunci di ricostruzione del cosiddetto “centro”, ma non hanno mai avuto sviluppi a causa dell’incapacità a darsi leadership condivise, per l’impostazione di organizzazione non dissimile dagli altri partiti personali e leaderistici, per la predisposizione ad allearsi comunque a destra o a sinistra, per una manciata di posti in Parlamento in cambio della rinuncia alla propria identità.

È facile pronosticare che il movimento verso il centro di cui si parla in questi giorni fallirà, qualora non fosse sostenuto da una fase costituente di costruzione di un soggetto dai chiari connotati liberali, popolari, socialisti, per richiamare alla riorganizzazione l’area vasta dell’astensione al voto, per ridare motivazione a coloro che bivaccano in formazioni politiche culturalmente non coincidenti con la loro opinione. Insomma l’alternativa al populismo dovrà riguardare la forma partito che ideologicamente rimetta al centro la partecipazione degli aderenti alla vita della nuova forza politica, nei percorsi di crescita politica delle persone, nella selezione delle dirigenze, nella selezione dei candidati alle assemblee elettive. Ripristinare la logica della rappresentatività basata sul voto dell’iscritto per il rappresentante di partito, dell’elettore per il candidato nelle rappresentanze elettive nelle istituzioni, è la alternativa all’attuale distorsione personalistica in politica che fa dell’Italia il malato dei paesi industrializzati.

Dunque un grande progetto aggregativo in grado di ripristinare le radici partecipative nell’humus democratico più profondo in alternativa all’autolesionismo sinora subito dalla nostra comunità nazionale a causa degli istinti più sregolati dell’”Italietta” che è in noi. È questo il criterio per cambiare il Paese, l’Europa, l’economia, la Democrazia, e per saper affrontare la sfida lanciata dalle autocrazie. In definitiva l’esigenza impellente è portare la politica al livello del servizio che viene svolto da Mario Draghi per l’Italia, per l’Europa.

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