Da questo momento in poi dimentichiamoci il solito tran-tran di discussioni polemiche e ripicche tra partiti: scatta il semestre bianco, e nessuno può più far presente il suo punto di vista. Ma è davvero così? Sono gli ultimi sei mesi prima della fine del settennato presidenziale e per Sergio Mattarella vale quel che valeva già per tutti i suoi predecessori. Vale a dire: la Costituzione gli vieta di sciogliere le Camere, che pure è, tra i suoi poteri, il più forte.
La Carta sancisce che Senato e Camera possono essere sciolti dal Capo dello Stato, sentito il parere dei presidenti delle due assemblee, qualora queste o anche una sola di queste non riuscisse a funzionare a dovere. Nel caso del semestre bianco, invece, vale il contrario: il Quirinale è stretto in una camicia di forza. E questo per evitare che un Presidente voglioso di riconferma si faccia prendere dalla voglia di mandare a casa le Camere che non vogliono riconfermarlo. Volli, sempre volli.
Norma costituzionale nata, come quasi tutte le norme costituzionali ad essa sorelle, per garantire la libertà del Parlamento. Quindi buona in sé, e che nessuno la tocchi. Ultimamente si è ribadito che però in fondo impedisce per metà di un anno il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche, e che basterebbe sostituirla con il divieto di immediata rieleggibilità per il Capo dello Stato. Lo ha fatto lo stesso Mattarella, che per di più è giurista ed ex membro della Corte Costituzionale.
Ci permettiamo, pur senza essere giuristi e nemmeno ex membri della Consulta, un pacato dissenso. Viviamo in tempi in cui con la Carta e le sue possibili riforme si gioca anche troppo. Lasciamola stare così com’è: nel nome dell’evidenza del bene che ne sarebbe scaturito, abbiamo già infilato nel suo testo inutili se non dannose norme politicamente corrette o finanziariamente altisonanti (come quella dell’obbligo del pareggio del bilancio) solo per constatarne più tardi l’inapplicabilità. Non c’è niente di meglio, per minare l’autorevolezza di una Legge Fondamentale, che inzepparla di vuoti quanto controproducenti desideri campati in aria. Una generazione più tardi e qualcuno politicamente corretto, sempre nel nome dell’evidenza del bene che ne scaturirebbe, chiederà di spazzar via una Carta così avulsa dalla realtà.
Restano semmai sostanzialmente evidenti, a questo punto, due problemi che poi sono uno solo. Vale a dire: la crisi del sistema attuale dei partiti. Esattamente quelli che la Costituzione dovrebbero viverla ed applicarla, rispettandone spirito e lettera. Siamo arrivati a questo semestre bianco nella peggiore delle condizioni, e non si dia la colpa al Covid. Primo problema: abbiamo un governo che tutti sostengono ma nessuno ama, anche perché Draghi inizia a far trasparire anche troppo facilmente la sua indifferenza nei confronti della centralità del Parlamento. Secondo problema: abbiamo una scadenza come quella dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica cui si guarda – chi l’avrebbe detto mai – con la preoccupazione con cui uno studente giunto alla fine del mandato da liceale guarda agli imminenti esami di maturità. C’è chi fa persino finta, per uscire d’imbarazzo, di aver già fatto gli orali e si chiude con un mojito al Papeete. Il ripetente.
Il mal sottile della nostra democrazia non è l’esistenza del semestre bianco, ma l’inconsistenza di chi deve gestirlo sul versante parlamentare. Noi, invece, tiriamo a campare con un sistema di partiti consunti che si autoperpetuano in una stanca ripetizione di slogan e prese di posizioni ideologiche (come sul Ddl Zan) che sanno di anni Novanta. Sarebbe ora di voltare pagina: non per condannare nessuno, perché questo fu il grande errore su cui si basa la fragile Seconda Repubblica, ma semplicemente perché le democrazie sono organi vivi e quindi ogni tanto hanno bisogno di nuovi stimoli. E se proprio si vuole fare una riforma, si parta dalla legge elettorale per ridare rappresentatività e centralità al Parlamento, come da sempre chiede la Costituzione stessa.
Un proporzionale che restituisca al cittadino elettore il suo scettro di principe, senza forzarlo ad accontentarsi del minore dei mali. E così eviteremmo di dover leggere sui giornali, come invece accade in questi giorni, che la soluzione ad una crisi di governo in pieno semestre bianco sarebbe un governo militarizzato, magari con a capo il Generale Figliuolo. Sta combattendo contro il Covid, che è una vera e propria guerra, e quindi può far bene al Paese: è evidente, è chiaro, è politicamente corretto.
Si disse qualcosa del genere, con l’idea di uscire da una guerra, di un illustre predecessore. Si chiamava Pietro Badoglio.