La crisi bellica trascina inevitabilmente con sé il rischio di ulteriori escalation a livello internazionale e il pericolo altrettanto reale di una crisi economica ed energetica su scala globale. In realtà, con i primi segnali di ripresa economica dopo la fase acuta della pandemia, verso la fine del 2021, vi è stato un’impennata della domanda di materie prime che ha prodotto l’innalzamento dei prezzi. A tale stato di cose si è aggiunto l’impatto del conflitto armato sull’aumento dei costi dell’energia e sui generi alimentari. Con ripercussioni negative soprattutto sui soggetti più vulnerabili.
I risvolti del conflitto sono significativi sul piano della sicurezza energetica. L’Italia è tra i Paesi europei maggiormente dipendenti dal gas russo e dunque più vulnerabile all’impatto della eventuale sospensione nelle forniture. In sede europea si studiano soluzioni per rafforzare la capacità energetica dei Paesi dell’Unione, anche dell’ottica di una politica di diversificazione delle fonti di approvvigionamento. In tale ottica vanno accresciute le capacità delle energie rinnovabili.
È oramai chiaro, infatti, come l’energia abbia assunto il ruolo di una potente arma da parte dei Paesi esportatori. Con il conseguente rischio degli Stati importatori di essere fortemente dipendenti da pochi attori globali. La Russia di Putin sfrutta questa posizione di principale fornitore di gas per esercitare pressioni sull’Unione europea al fine di indebolire il sostegno alla resistenza dello Stato ucraino. Da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina il prezzo europeo del gas è aumentato a dismisura. Per rimpiazzare il gas proveniente dalla Russia occorrono infrastrutture che saranno disponibili solo tra qualche anno. La risposta più efficace alle minacce russe sembra essere l’introduzione a livello europeo di un tetto massimo del prezzo del gas da imporre alle imprese acquirenti per i Paesi dell’Unione Europea. Il c.d. price cap.
La dimensione solidaristica costituisce uno dei punti qualificanti dell’integrazione europea. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione prevede che per contrastare le situazioni di emergenza l’Unione e gli Stati devono agire congiuntamente in uno spirito solidale. Vi è la consapevolezza da parte degli estensori del Trattato che i diversi obiettivi delle politiche energetiche, dal risparmio energetico all’interconnessione della rete, alla sicurezza nell’approvvigionamento possono essere perseguiti solo applicando al mercato dell’energia il principio di solidarietà tra Stati.
Per rispondere a tali esigenze il Trattato di Lisbona ha introdotto una significativa innovazione, volta ad estendere la competenza dell’Unione nel settore. L’art. 194 TFUE rafforza le politiche dell’UE nel settore dell’energia. La politica unionale nel settore dell’energia è intesa in uno spirito di solidarietà tra Stati membri ed è rivolta garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione. Il mercato dell’energia e le questioni più delicate dell’approvvigionamento e la sicurezza energetica devono essere gestiti proprio in sintonia con il principio solidaristico.
Eppure, l’U. E. non è riuscita, fino ad oggi, a adottare provvedimenti che possano rispondere alla esigenza della stragrande maggioranza degli Stati Membri. Per la netta opposizione della Germania alla fissazione di un tetto al prezzo del Gas. Il Governo tedesco ha infatti approvato “in solitaria” uno straordinario scudo antirincari da 200 miliardi di euro. L’esecutivo di Berlino ha sfruttato l’ampia capienza del bilancio tedesco per salvare l’economia nazionale con cospicui sussidi alle proprie imprese che potranno restare sul mercato, mentre i competitor di altri Paesi europei saranno costretti a chiudere. La decisione tedesca costituisce espressione di un nazionalismo che segna un passo indietro per la sovranità europea e la sua cultura solidaristica.
In attesa che l’Unione europea possa intervenire per alleviare le sofferenze economiche di famiglie e imprese a rischio di povertà energetica, il dibattito si sposta sulla praticabilità di ulteriori tutele emergenziali. Alcune imprese “energivore” hanno già scelto di uscire dal mercato, il caro energia oltre a mettere a dura prova il sistema produttivo, avrà un costo notevolissimo per l’economia italiana. Malgrado una serie di decreti sono stati adottati dall’ Esecutivo Draghi per contenere il costo dell’energia e per contrastare gli effetti economici della grave crisi internazionale. L’Italia sta ponendo in atto una complessa strategia diretta all’affrancamento del gas russo che potrà dirsi integralmente raggiunto, in seguito alla sostituzione con le forniture provenienti da altre aree geografiche, solo alla fine del 2024. Tale condizione di forte criticità richiede di agire su più fronti: la messa in funzione di rigassificatori flottanti, l’incremento dei flussi di gas dall’Algeria e dall’Azerbaigian. Una politica che consenta l’intensificazione delle importazioni di gas dalla Libia, nonché un migliore sfruttamento delle energie rinnovabili.
Con l’arrivo della stagione invernale è imprescindibile proseguire l’azione a sostegno della formazione di stoccaggi di gas naturale e dotare di maggiore rapidità i processi autorizzativi per incrementare la produzione energetica nazionale. Insomma, occorre adottare una strategia per la diversificazione al fine di un più equilibrato bilancio energetico nazionale. Ma la rassicurazione sulla quantità del gas non risolve il problema dei costi alle stelle dell’energia, causate da speculazioni di Borsa. La soluzione risiede nella fissazione in sede europea di un tetto massimo del metano al quale i Paesi del Ue potrebbero acquistare gas purché il prezzo non vada oltre la soglia prestabilita. Ma rimane il veto di Germania malgrado le richieste provengano da un gran numero di Stati membri.
Si prova ad aggirare il veto tedesco trattando su un price cap dinamico per evitare un’eccessiva volatilità dei prezzi e prevenire picchi estremi sul mercato dei derivati energetici. Neanche la tenuta di un accordo al ribasso sembra reggere davanti agli egoismi nazionali. Un nuovo inciampo per l’unità politica dell’Europa. Ma mentre si apprestava a giurare il primo Governo della storia d’Italia guidato da una donna, Mario Draghi è riuscito a spuntarla in extremis con un accordo europeo che include un nuovo possibile debito comune, price cap e solidarietà finanziaria.