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Cosa significa perdersi

Perdersi. Essersi perso – che cosa significa? Ci sono due aspetti da considerare nella risposta: quello di qualcuno che perde e la cosa persa. Nel Vangelo di oggi notiamo la presenza di cose perse che sono di tre tipi: un animale (pecora), una moneta ed un uomo. Tutte suscitano prima preoccupazione, poi sforzo di ricerca e, finalmente, la gioia del loro ritrovamento.

Nella nostra vita ciascuno di noi ha fatto questa esperienza, che ci costa tanta energia e tempo e addirittura nel caso non si riesca a trovare la cosa perduta ci arreca danno (non tutto ciò che viene perso si ritrova; i tre racconti del vangelo di cui parliamo fortunatamente le ricerche danno un buon esito). Ma perché le cose (e gli uomini) si perdono?

Una buona domanda. Ci permette di capire molte cose sulla natura umana. Perdiamo gli oggetti per nostra distrazione (dimentichiamo dove li abbiamo messi, magari in un posto sbagliato senza rendercene conto) o a causa di un furto (qui spesso non si riesce trovare la cosa – solo eventualmente dopo qualche intervento esterno della polizia etc.)

Gli animali (pecore – ma anche cani, gatti, tartarughe) possono smarrirsi, fuggire. Non si rendono conto di appartenere a qualcuno, o anche al loro branco. Seguono così le loro intuizioni e percorrono le loro strade, spesso pericolose e dettate dal caso. Manca in loro consapevolezza. Quindi l’attenzione di chi è responsabile deve essere ancora più grande. Deve assicurare le condizioni più idonee per evitare il rischio di perdita.

E gli uomini? Perché si perdono? Possono perdersi essendo creature libere, quindi capaci di compiere autonomamente le loro scelte? Ognuno risponde della propria scelta. Se la assume consapevolmente e liberamente, deve essere rispettata – indipendentemente dalle conseguenze. Ma il figlio prodigo si è perso: come mai? Perché la sua storia, ormai nota, è diventata emblema della perdita?

Egli si allontana liberamente, non a causa della distrazione del padre. Non viene rapito. Non è un oggetto. Nemmeno un animale. Sembra libero e consapevole nella sua scelta. Allora – perché la sua storia finisce così, col suo ritrovamento? Non ci sono tanti casi di figli (o figlie) partite dalle case dei genitori senza essere considerati persi? Non era questo il caso di Abramo, di Gesù, degli Apostoli?

Iniziamo ad essere considerati “persi” in rapporto al legame che abbiamo con le persone vicine. Siamo anche persi quando non riusciamo a vivere in modo equilibrato e responsabile con noi stessi. Ecco due ragioni che possono classificare il caso del figlio prodigo come una perdita.

Lui decide di lasciare suo padre e suo fratello maggiore per andare nel mondo è cercare a proprio modo qualcosa che lo renda felice. Si stacca dall’armonia e dal bene famigliare. Ne ha diritto. Ma – dato il contesto culturale – il suo è stato un passo radicale, insolito benché compreso dal padre. Ognuno ha diritto di organizzare la propria vita. Anzi, oggi molti per vari motivi non vogliono (non possono) farlo. Così molte persone che hanno anche più di 40 anni vivono coi genitori, senza aver mai nemmeno pensato di prendere in mano la loro vita.

La perdita del figlio prodigo risulta dal fallimento del suo progetto di vita. Non era maturo, prudente per arrangiarsi bene. Invece di investire i mezzi, gestirli prudentemente, li spreca in modo irresponsabile. Chiaro che presto rimane senza niente. È perso economicamente quindi esistenzialmente.

Fortunatamente che questo gli dà modo di riflettere a fondo, di iniziare a capire e ritornare dal padre. Con questo gesto conferma la sua iniziale immaturità e il suo sbaglio quindi il vero motivo del suo essere perduto: mancanza di responsabilità e prudenza. Ci perdiamo non tanto quando ci stacchiamo dai genitori o dai vicini, ma quando lo facciamo in modo immaturo, e stupido. Non ci sarebbe il ritorno commovente né il gesto misericordioso del Padre senza questa perdita. Ricordiamoci di Giuseppe e del suo incontro con Giacobbe, suo padre invecchiato. Giuseppe era stato rapito. I suoi legami col padre sono stati interrotti violentemente. Ma la sua perdita risulta molto utile, il suo ritrovamento spettacolare e glorioso.

Essere perso non significa allora liberarsi dai legami famigliari, ma non riuscire di essere indipendenti, trovare la propria strada di vita. Qui possiamo ovviamente chiederci che cosa significhi trovare la propria strada.

La prospettiva teologica offre una giusta ottica per le spiegazioni: come esseri umani non possiamo pienamente trovare la nostra strada all’infuori del Creatore e Salvatore. Il padre misericordioso simboleggia Dio. Siamo proprietà di Dio come persone umane libere, e capaci di fare scelte libere. L’importante è che siano sintonizzate col piano di Dio per noi, dove la nostra libertà ci conduce alla strada originale destinata irripetibilmente ad ognuno di noi in accordo con la volontà misericordiosa di Dio.

padre Bernard Sawicki: