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Cosa ha provocato l’irrilevanza dei cattolici nella vita pubblica

Nell’attuale ripensamento del rapporto tra cattolici e politica va rivista anche la teoria della diaspora. Questa, agli inizi degli anni Novanta, poteva apparire non solo come una necessità motivata, ma anche come una preziosa opportunità, persino come una “benedizione”, secondo alcuni. La diaspora rendeva evidente che il seme cristiano non poteva essere “sequestrato” da qualche compagine, in questo caso partitica, rinchiudendolo dentro involucri, che alla fine lo contraddicevano e lo rendevano sterile.

Il lievito dei cristiani doveva far fermentare tutta la pasta. Oggi, invece, si osserva una valutazione più disincantata di questa forma di pensiero. La diaspora, teorizzata come un bene, al lato pratico ha provocato l’irrilevanza dei cattolici nella vita pubblica. E, fatto ancora più grave, ha lasciato dei segni di contrapposizione, provocando forti divisioni tra di essi. Da più punti di vista, la teoria della diaspora appare politicamente un assurdo, perché il bene comune e i vari beni politici vanno conseguiti collaborando tutti insieme; perché l’unità sui valori è prima di ogni pluralismo. La diaspora, infatti, implica una duplice debolezza teorica e pratica. Per un verso, essa comporta che i cattolici si rassegnino a rimanere minoranza, ovunque essi si trovino inseriti e, quindi, accettino di scomparire politicamente, proprio come l’immagine del lievito lascia intendere. Col risultato che chi è minoranza non potrà mai vedere accolte le proprie istanze, a meno di gesti compassionevoli o buonisti da parte della maggioranza.

E così, si verifica un paradosso davvero strano! I cattolici entrano nei partiti per far avanzare un certo progetto politico che dice della loro identità, pur sapendo che mai riusciranno a far valere le loro ragioni. Né vale l’argomento (troppo spesso adombrato) secondo cui, su questioni di primaria importanza, i cattolici presenti nei diversi schieramenti potrebbero convergere in modo unitario invocando il “voto di coscienza”. Un’ingenuità, questa, davvero imperdonabile, che denuncia la totale ignoranza di quanto ci viene insegnato da tempo dai cosiddetti modelli a massa critica. E cioè che, una volta avviato, un processo di trasformazione politica raggiunge il fine desiderato solo se il numero di coloro che ad esso aderiscono raggiunge una certa soglia, la cosiddetta massa critica. Diversamente, il processo collassa o addirittura degenera. Per l’altro verso, l’opzione in questione avrebbe un esito a dir poco ridicolo: infatti, tutte le grandi matrici culturali e ideologiche presenti da tempo nel nostro Paese avrebbero la possibilità di esprimersi e di confrontarsi dialetticamente sulla scena politica, eccetto la matrice di pensiero cattolico.

Le linee di pensiero neoliberale, libertario, populista e sovranista sarebbero titolate a presentarsi con i rispettivi programmi al giudizio degli elettori, ma non quella dei cattolici. I quali per esprimere il loro punto di vista dovrebbero bussare all’una o all’altra porta, chiedendo “ospitalità”. E non si sottovalutino le regole procedurali della vita democratica, in particolare quella del principio di maggioranza. In una democrazia, i beni-valori, compresi quelli sostenuti dai cattolici, possono essere tradotti in legge e diventare così programma di governo a livello delle istituzioni, mediante un metodo democratico, con l’appoggio di una maggioranza. Il che suppone che vi sia una qualche “massa critica” che li sostenga.

Per quanto concerne la regola procedurale della maggioranza, è facile capire che quanti hanno sostenuto la “teoria” della diaspora, in sostanza hanno contribuito a far regredire le posizioni del mondo cattolico dal punto di vista politico e democratico. Al pari di ogni altro cittadino, il cattolico sa che, in una democrazia pluralista, può promuovere tutto quello in cui crede, sia come persona umana sia come uomo di fede. La fede non fa altro che confermare ciò che pensa come essere umano e razionale solo se vive all’interno di una aggregazione e non disperso ovunque. Ossia se, assieme ad altri, riesce a costituire una maggioranza perché ciò è il fondamento della vita democratica. Affinché i propri beni-valori possano essere incarnati dall’azione politica, occorre essere il più possibile uniti e compatti, e non rinunciatari.

mons. Mario Toso: