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Cosa ha causato la fuga dei cittadini dalle urne

Foto di Joakim Honkasalo su Unsplash

E’ molto diffusa l’idea che se il sistema politico nel paese è sottosopra, difficilmente l’economia può progredire. Se molti cittadini disertano le urne per sfiducia nei partiti e nella loro reale volontà di cambiamento, non si potrà sprigionare la forza necessaria per affrontare i cambiamenti. Negli anni è cresciuta sensibilmente la fuga dalle urne degli elettori, con le elezioni regionali del Lazio e Lombardia i votanti sono diminuiti ben al di sotto del 50%. In ambedue le regioni hanno segnalato che ormai gli umori dei cittadini sono peggiorati in misura uniforme contro l’attuale sistema partitico italiano. In definitiva si fa largo l’opinione che il voto ormai non cambia la situazione, anche in costanza di alternanza tra sinistra e destra. In definitiva va a votare in prevalenza chi è alla sequela di un interesse immediato che gli si prospetta. Se la vivacità dei partiti in larga parte si esprime in campagna elettorale per dividersi il potere non spendendosi con lo stesso slancio per governare gli interessi generali coinvolgendo nella partecipazione i cittadini, è sin troppo comprensibile la conseguente sfiducia.

Alcuni di questi aspetti negativi li ritroviamo anche in altre società democratiche, che risentono dello spiazzamento dovuto agli accentuati cambiamenti che non trovano efficaci e rapide risposte, ma in Italia il fenomeno ha origini più profonde e caratteri per molti versi inediti. Ad esempio il proliferare di partiti personali o partiti sostanzialmente chiusi alla partecipazione che tradiscono le promesse costituzionali. Dunque il solco prodotto dalla grave inefficienza della rappresentanza politica, che affida solo alle competizioni elettorali la selezione della rappresentanza, è la causa della sfiducia e del dilagare della demagogia populista. Malumori ed indifferenza nascono a causa di pratiche poco democratiche nei partiti, e rese ancora più accentuate dalla commistione di interessi privati con quelli pubblici, nel finanziamento delle campagne elettorali.

È in questo corto circuito che si rende vana la promessa dell’art. 49 della Costituzione: “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per correre con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. In tali condizioni la libertà del cittadino viene mutilata dalla duplice deviazione nelle formazioni politiche: da deboli o inesistenti garanzie democratiche che ostruiscono i canali della libera partecipazione ed il ricambio della dirigenza; la inesistenza di finanziamenti pubblici ai partiti, abbandonati così al controllo e sottomissione di fatto alle varie dinamiche di interessi particolari. Per queste ragioni soprattutto le forze politiche che si alimentano e si alimenteranno di presenze culturali riformiste, popolari, liberali, dovranno al più presto aprire una discussione per seguire la indicazione costituzionale di regolamentare il funzionamento dei partiti politici. All’inizio della esperienza repubblicana non fu fatta, perché troppo vivo il ricordo dello Stato intento a controllare per fini antidemocratici le associazioni tutte. Ma dopo settant’anni è la Repubblica che spesso è controllata da pezzi di poteri non espressi da quella vitalità democratica che si genera da quella forza collettiva alimentata dai cittadini che ricercano la libertà nel concorrere concretamente e responsabilmente al benessere della comunità nazionale. Per queste ragioni dare criteri per il controllo sulla vita democratica interna ai partiti e ripristinare il finanziamento pubblico per i partiti significa ridare pilastri solidi per la nostra Repubblica.

Raffaele Bonanni: