Le fasi iniziali dell’attuale Legislatura risultano caratterizzati dal tentativo di portare a compimento un progetto di riforma concernente la razionalizzazione della forma di Governo che si estende oltre il perimetro della maggioranza, ad almeno una parte dell’opposizione. I correttivi in agenda si snodano attraverso alcuni interventi mirati a garantire un governo di legislatura, basato su coalizioni preelettorali guidate dal leader del partito che ottiene il maggior numero di consensi.
Sotto i riflettori vi è il modello inglese. Nella forma di governo britannica, detta di Westminster, si assiste alla valorizzazione dell’esecutivo, a cui viene garantita una notevole stabilità. Si tratta di un parlamentarismo maggioritario a prevalenza del Governo, in cui il Premier, leader della forza che ha ottenuto la maggioranza alle elezioni, gode di una doppia investitura: quella del partito, che lo individua quale proprio segretario, e quella dell’elettorato che, votando il partito di riferimento, lo indica nella scheda elettorale indirettamente come Premier. Nel caso in cui si dovesse spezzare il rapporto di fiducia che lega il leader al proprio movimento, l’incarico di Primo Ministro verrà conferito al nuovo segretario, senza passare dal voto popolare. Come è successo per Boris Johnson, sostituito prima da Lis Truss e poi dall’attuale Premier Rishi Sunak. In Gran Bretagna al leader dell’opposizione è riconosciuto espressamente uno status costituzionale con la possibilità di utilizzare le Prime Minister’s Questions, ossia ulteriori interrogazioni parlamentari da rivolgere al Governo.
L’alternativa alla forma britannica di Gabinetto potrebbe essere il modello del c.d. Sindaco d’Italia che prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, il doppio turno, nonché il contestuale scioglimento delle Camere che votino la sfiducia al Governo. Un modello previsto nella Costituzione italiana per l’elezione di Presidenti di Regione, ma che non trova eguali in altri ordinamenti costituzionali, utilizzato per un limitato periodo nello Stato di Israele.
Partendo dalla constatazione di lasciare saldi ruolo e funzioni di garanzia della Presidenza della Repubblica, altra soluzione potrebbe essere quella di introdurre una serie di correttivi per conferire stabilità all’esecutivo: dalla indicazione della scheda elettorale del candidato premier designato dal partito o dalla coalizione, alla mozione di sfiducia costruttiva, al potere del Primo Ministro di proporre al Capo dello Stato la revoca dei ministri, nonché lo scioglimento anticipato delle Camere, mutuando i meccanismi presenti nelle Costituzioni tedesca e spagnola. Come è recentemente avvenuto con il Premier socialista spagnolo Pedro Sancez che, a seguito della sconfitta del suo partito alle elezioni amministrative, ha chiesto ed ottenuto dal Re lo scioglimento anticipato del Parlamento e la convocazione delle elezioni politiche per il prossimo 23 luglio.
Con la mozione di sfiducia costruttiva si intende delineare un sistema capace di conferire una maggiore stabilità all’esecutivo attraverso l’inserimento in Costituzione, sull’esempio tedesco (art.67 Grundgesetz). Tale strumento mira a evitare le c.d. “crisi al buio”, ossia quelle iniziative tese a far cadere il Governo in carica senza che vi sia una pronta alternativa sostenuta dalla necessaria maggioranza parlamentare. Attraverso il meccanismo della sfiducia costruttiva si escludono lunghe fasi di instabilità, atteso che i partiti sono costretti a trovare un accordo prima ancora che venga revocata la fiducia al Governo.
Si potrebbe, inoltre, intervenire sull’art. 94 Cost. con una disciplina che impone al Presidente del Consiglio di rassegnare le proprie dimissioni al Capo dello Stato solo dopo essersi presentato davanti alle Camere ed aver spiegato, in quella occasione, le ragioni della crisi. Ciò al fine di evitare crisi extra-parlamentari, che si svolgono fuori dal Parlamento e marginalizzano il ruolo delle Camere, rimettendo al centro del sistema le Assemblee elettive.
L’espressa previsione costituzionale del potere del Presidente del Consiglio di proporre la revoca di un ministro al Capo dello Stato sembra assecondare l’idea del potere di revoca quale logica implicazione del potere di nomina. Al contempo, la proposta di revoca intende rafforzare la figura del Presidente del Consiglio all’interno della compagine governativa.
In realtà, la correzione suggerita si pone nella prospettiva di riallineare la Costituzione scritta a quella materiale che ha sancito, negli ultimi decenni, la posizione di indubbio rilievo del Premier rispetto a quella dei ministri. Il proposito di modificare l’art.92 va nel senso di fornire una disciplina formale a quanto già si è verificato nella prassi repubblicana. Il Premier, infatti, ha sempre ottenuto le dimissioni dei ministri sgraditi o improvvisamente contrari alla linea politica del Governo.
Anche la legge elettorale meriterebbe una riflessione. Con l’intervento sul metodo di voto per consentire al cittadino la possibilità di scelta dei propri rappresentanti. Rimango convinta che la scelta migliore in proposito è quella del collegio uninominale, in grado di garantire sia la selezione diretta da parte dei cittadini, sia l’interesse del partito a scegliere il candidato che meglio rappresenta la propria linea politica. Tale sistema dovrebbe essere accompagnato da regole rigorose per evitare le non sempre commendevoli abitudini invalse nelle segreterie di partito. La prassi del passato, che ha consentito di “catapultare” nei collegi c.d. sicuri candidati estranei al territorio, ha contribuito a scavare un fossato tra rappresentanti e cittadini, una delle ragioni della percezione generalizzata di sfiducia verso l’istituzione parlamentare. Quel senso di scetticismo che si è riversato nella scelta diffusissima ed allarmante dell’astensionismo. Rivitalizzare gli istituti della rappresentanza politica rimettendo al centro la volontà del corpo elettorale costituisce il punto della ripartenza per progettare l’Italia futura.