In questi giorni altri gommoni pieni di persone tentano do attraversare il mare anche se in tempesta. E il ricordo è così vivo per ciò che è accaduto poco più di una settimana fa con il naufragio che ha tolto la vita a sei persone, tra cui il piccolo Joseph scivolato dalle braccia materne che ha sconvolto le coscienze di molti. Le TV ci hanno mostrato anche un altro bambino, Bangalore, che salvo per miracolo non ha invece più visto la sua mamma accanto a sé annegata tra le onde della disperazione.
Quelle di Joseph e Bangaly sono tragedie parallele che interpellano la coscienza individuale e collettiva di un popolo. L’atroce sorte dei due bambini si intreccia fatalmente con l’assenza di risposte comunitarie a quel genocidio nel Mediterraneo che l’Europa si ostina ad ammantare di colpevole indifferenza. Joseph, ad appena sei mesi di vita, è morto durante un tentativo di sbarco e ora in una bara di fortuna riposa nel cimitero di Lampedusa. Le urla disperate e raggelanti della giovane mamma nulla hanno potuto contro la furia del mare che ha inghiottito il neonato che si chiamava Giuseppe come l’antico patriarca biblico vittima dell’odio dei fratelli. Millenni dopo le Scritture, l’umanità si dimostra sempre meno composta da “Fratelli tutti”, come invocato da Papa Francesco nell’ultima enciclica.
Bangaly, 6 anni, ha visto affogare la madre nel naufragio della loro piccola imbarcazione di fortuna e i soccorritori raccontano il silenzio straziante di questo piccolo orfano trascinato in salvo un istante prima che scomparisse anche lui tra le onde in tempesta. Senza protezione dell’infanzia, la nostra civiltà condanna a morte il proprio futuro.
La strage degli innocenti nel Mediterraneo falcidia bambini e donne che hanno pari dignità dei cari affetti familiari che popolano la sponda settentrionale del “mare nostrum”.
Ogni corpo disperso nel canale di Sicilia è un atto di accusa all’ignavia dell’Unione Europea che chiude le porte a chi fugge dalla fame, dalle persecuzioni, dalla guerra e da mesi (come ha ricordato il Pontefice) anche dal virus. Respingere chi scappa dalla pandemia aggiunge disumanità ad un’emergenza che, per le ridotte dimensioni degli attuali flussi migratori, potrebbe agevolmente essere gestita attraverso corridoi umanitari europei.
Non ha alcuna giustificazione rinviare una misura che consentirebbe di scongiurare tragedie del mare come quelle che hanno funestato la sorte di Joseph, Bangaly e tanti altri martiri di questo olocausto dimenticato. Il vecchio continente, millenario faro di cultura e progresso, calpesta se stesso volgendo lo sguardo dall’altra parte, mentre si reiterano aberrazioni che solo una razionale regolamentazione dei flussi può impedire.
Perciò ci appelliamo alle autorità comunitarie affinché, nel tempo straordinario della pandemia, vengano organizzati corridoi umanitari Ue per consentire l’approdo in sicurezza di coloro che il Covid espone maggiormente al rischio di morte. La qualità democratica e valoriale di una comunità si misura dalla capacità di approntare provvedimenti tempestivi ed efficaci in grado di corrispondere alle esigenze imposte da un momento di eccezionale gravità.
In epoche remote i corridoi umanitari sono stati inventati nelle zone dei conflitti armati proprio per dare risposta agli irrinunciabili bisogni dei più fragili e indifesi. Quella al virus è una guerra e come tale richiede misure fuori dall’ordinario. Nessuno può accampare l’alibi di ignorare il problema: non agire equivale ad essere complici del massacro in atto a ridosso delle nostre sponde.