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Coronavirus, non dimentichiamoci della povera gente

In questo periodo di grande emergenza a causa dell'epidemia di coronavirus, in cui si parla solo di numeri, c'è un aspetto che troppo spesso viene trascurato: come vivono l'emergenza le persone più fragili e deboli della nostra società, ossia gli anziani e i poveri. Se da un lato va riconosciuto il grande impegno e la professionalità di operatori sanitari, medici e infermieri, messi a dura prova dalla situazione e che stanno fornendo le migliore cure possibili a tutti, dall'altro bisogna riconoscere che si tratta di un problema molto vasto. E' necessario avere una coscienza comunitaria e sociale che non tenga conto solo del nostro “io”, ma che pensi al “noi”, a tutto il popolo italiano. 

Se quella che la momento è stata definita un'epidemia dall'Organizzazione mondiale della sanità diventasse una pandemia, fino a un terzo degli italiani potrebbe essere contagiato. Un 10% di questo terzo potrebbe rischiare di andare incontro a gravi problemi. I posti in rianimazione intensiva sono circa 5.000 e, quindi, non ci sarebbero posti letto per tutti. Dobbiamo collaborare per il bene comune, anche e soprattutto dei più deboli, come anziani o persone che soffrono di gravi patologie preesistenti. Salvo nella zona rossa, ho visto un'attenzione particolare per mantenere aperti i centri diurni per disabili: si è garantito un servizio prezioso

Bisogna anche sottolineare come in Italia ci sia stata un'esposizione mediatica esagerata. La via dell'equilibrio e della moderazione è sempre la migliore. Sì, è importante informare su misure preventive e igieniche, ma bisogna anche avere il buon senso di rimandare riunioni, incontri, congressi che non siano di carattere urgente, anche questa è una forma di prevenzione. Un plauso va a quelle aziende che in questi giorni, a fine di prevenire forme di contagio, hanno incentivato lo smart work, ossia lavorare da casa. La migliore forma comunicativa è sempre quella di dire le cose essenziali, vere, senza nascondere nulla, ma non è possibile che da quasi una settimana, 24 ore su 24, media, social e trasmissioni televisive parlino solo dell'emergenza coronavirus. Questo forse non aiuta. 

Sono scoppiate molte polemiche sulle misure di prevenzione adottate da alcune diocesi, come evitare di dare il segno della pace, non prendere l'Ostia consacrata in mano e non direttamente in bocca, e in alcuni casi, di non celebrare le messe. Sono misure di buon senso che tengono conto delle direttive impartite dalle Regioni e dal Governo; misure sagge e rispettose del momento che stiamo vivendo. Questo non  esclude che i fedeli possano continuare a pregare, anche nelle loro case, leggere la Parola di Dio, confessarsi o andare a visitare le chiese che sono aperte. Anzi, è questo il momento di stringersi tutti insieme nella preghiera e chiedere al Buon Dio di liberarci da questa situazione di difficoltà che sta creando disagi globali, soprattutto alla povera gente. 

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