Gli ultimi dati Istat, purtroppo, hanno certificato che, In Italia, non era mai stato raggiunto prima un livello di povertà così alto, il quale coinvolge 5,7 milioni di persone e oltre 2 milioni e 200 mila famiglie. Ciò ci dice che, l’indice che ha visto aumentare il numero di cittadini in condizione di fragilità economica, sostanzialmente, non si è mai fermato e, inoltre, nell’ultimo periodo, ha subito un progressivo incremento. Oltretutto, da un certo punto in poi, la normativa vigente ovvero la legge 85 del 2023 che ha introdotto l’Assegno di Inclusione e il supporto alla formazione e al lavoro, non ha agevolato il contrasto alla povertà. Definirei queste misure “categoriali”, in quanto dividono le persone in base alle fragilità sociali e non sono efficaci, in quanto servono la metà della platea di beneficiari rispetto a quelli del precedente Reddito di Cittadinanza e, di conseguenza, non raggiungono buona parte delle persone povere nel nostro Paese.
Oltre a ciò, si somma la ripresa della crescita del tasso di inflazione che, insieme ad altri indicatori economici, sta creando difficoltà notevoli ai Comuni, ai Sindaci, ai Servizi Sociali e alle organizzazioni del Terzo Settore che, a vario titolo, provano ad aiutare coloro che si trovano in difficoltà. Quindi, come abbiamo recentemente detto anche alle commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, la legge 85, non ha prodotto risultati positivi ma, anzi, ha dimezzato i percettori delle misure di supporto, ottenendo come solo risultato il risparmio sul bilancio dello Stato di un miliardo e 700 milioni, investendo, una volta che tali misure saranno totalmente a regime, tra i tre e i quattro miliardi in meno per il contrasto alla povertà. Vorrei ricordare che, c’è un obbligo morale oltreché politico di provare a sostenere le persone in difficoltà, affinché la povertà sociale non si tramuti in disperazione sociale ma mi sembra che, ad oggi, si vada in tutt’altra direzione.
Una risposta efficace alle crescenti povertà presuppone la reintroduzione di una misura universalistica e non categoriale. Occorre tornare al REI, ovvero il Reddito di Inclusione il quale, anche grazie al supporto che, in quella fase, ha dato Alleanza contro la Povertà, era stato introdotto nel nostro ordinamento, tenendo conto anche del dettato costituzionale. La povertà, purtroppo, è un fenomeno intergenerazionale e senza nazionalità quindi, chi ne è colpito, deve essere sostenuto. A ciò si deve legare la chiusura delle cosiddette “misure spot”, con finanziamenti che lasciano il tempo che trovano come, ad esempio la carta “Dedicata a te”, che è un sussidio temporaneo e di ultima istanza e non lenisce in profondità le cause della povertà. Tali risorse, invece, potevano essere utilizzate per il potenziamento dell’Assegno Unico e, di conseguenza, di una misura strutturale di cui, il Paese, ha fortemente bisogno.
Alleanza contro la Povertà, su questo versante, ha formulato otto proposte anticipando i tempi attuali, con l’auspicio di risolvere l’attuale situazione, sempre più grave. L’Adi deve essere indicizzato e serve una nuova scala di equivalenza per agevolare i più giovani e sostenere le famiglie con figli. Dovrebbe poi essere prevista una possibilità di cumulo dei benefici per il contrasto alla povertà e attivare procedure per l’accompagnamento al lavoro. A ciò si deve correlare una riforma dei servizi sociali perché, attualmente, alle amministrazioni comunali, non sono state destinate molte risorse e sono in difficoltà in quanto, rappresentano le prime istituzioni a farsi carico delle fragilità dei cittadini. Serve quindi che, nella Legge di Bilancio, vengano recepite alcune delle proposte che abbiamo fatto, altrimenti si rischia un aumento della povertà assoluta ed un pericolo di cronicizzazione della stessa. Occorre agire subito e con celerità.