Questo pomeriggio il Consiglio dei ministri, guidato da Giorgia Meloni, va in trasferta. La seduta dell’esecutivo si svolgerà nell’Aula consiliare del Comune di Cutro, in provincia di Crotone. Un gesto non solo simbolico, quello del governo, ma carico anche di una valenza politica destinata a far discutere a lungo. Perché se tutto dovesse ridursi a pura forma, senza nessuna sostanza, sarebbe un problema serio per il Paese, come insegnano le esperienze passate. Nel 2019, l’allora premier Giuseppe Conte riunì, simbolicamente, il Consiglio dei ministri a Reggio Calabria per dare un segnale sullo sfascio della sanità regionale. Ma solo un segnale, non quaderno con i compiti da fare. Nel 2009, invece, fu Silvio Berlusconi a fare pressappoco la stessa cosa a L’Aquila. In quel caso l’obiettivo era portare un segno di vicinanza alle popolazioni colpite dal terremoto. Un po’ come aveva già fatto a Napoli, portando i ministri sotto al Vesuvio, nel pieno del caos rifiuti. Nel 2007 Romano Prodi, allora presiedente del Consiglio dei ministri, travolto dalle polemiche interne, per dare l’idea di un governo compatto e di una maggioranza coesa, riunì l’esecutivo nella Reggia di Caserta. Tutti esercizi di stile molto belli, coreografici, ma dai quali non uscì niente, eccetto le foto di rito, buone per rassicurare un certo elettorato.
Oggi, a Cutro, tocca alla premier, Giorgia Meloni, affrontare la prova del campo esterno. Ovviamente per i detrattori dell’esecutivo l’uscita da Palazzo Chigi non sarebbe da collegare alla tragedia degli immigrati affogati a pochi metri dalle coste calabresi, e più in generale con le politiche del governo legate al contenimento dell’immigrazione clandestina, o alle Ong. Non sarebbero loro a rappresentare un vero problema per la premier. Nonostante le polemiche sorte all’indomani delle dichiarazioni del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il quadro generale della maggioranza resta stabile, con l’elettorato piuttosto favorevole nei sui confronti. Le parole del Papa contro gli scafisti, poi, hanno rappresentato un inaspettato assist al governo. Così come le esternazioni della presidente della Commissione europea, Von Der Leyen, sono apparse decisamente in linea con quelle di Giorgia Meloni. E il Consiglio per gli Affari Interni, in programma a Bruxelles, dovrebbe segnare l’inizio di un lento cambio di strategia da parte dei partner europei. Il resto, quindi, è solo polemica politica. Polemiche che, sia detto per inciso, compattano la maggioranza e confermano agli occhi degli elettori di destra la bontà della scelta fatta lo scorso 25 settembre.
E proprio per quest’insieme di fattori il Consiglio dei ministri a Cutro, potrebbe essere la giusta occasione per varare una serie dispositivi operativi in materia di immigrazione e accoglienza. La Meloni sa benissimo che non può permettersi il rischio di far trasformare l’istituzione, da parte delle opposizioni, in un simbolo. Quando ciò avviene significa che la politica attraversa una fase difficile. E la premier non può permettersi questo rischio. Al di là della cornice politica, il tema forte sul tavolo del Consiglio dei ministri sarà quello del dossier migrant, con il governo pronto a dare il via libera a un nuovo decreto. Si delinea così un nuovo intervento da parte dell’esecutivo governo Meloni sul tema, dopo il decreto flussi e la stretta promossa contro le navi delle Ong. Nel Cdm non ci sarà spazio per giri di vite o strette sui permessi di soggiorno. Le misure andranno nella direzione di un innalzamento delle pene per gli scafisti, rafforzamento dei corridoi umanitari e potenziamento dei flussi regolari. Sui contenuti, bocche cucite. Nonostante il pressing della Lega, a Cutro non entreranno le norme contenute nei decreti Salvini del 2018. O, almeno, così sembra. La sottosegretaria di Fratelli d’Italia al ministero dell’Interno, Wanda Ferro, ha spiegato che l’esecutivo “non riscriverà i decreti Salvini”. Da una parte quindi la premier, Giorgia Meloni, e Fdi, che nel nuovo decreto sull’immigrazione atteso in Cdm intendono inserire norme il meno possibile divisive come il rafforzamento dei corridoi umanitari e il potenziamento dei flussi regolari, insieme a un innalzamento delle pene per gli scafisti. Dall’altra Matteo Salvini e la Lega, che invece chiedono un nuovo giro di vite sui permessi di soggiorno.
Un braccio di ferro che allo stato attuale vede prevalere la linea di Fratelli d’Italia: ma non è questo il momento per la prova di forza, più in là si vedrà, è il messaggio lanciato agli alleati di governo, ora c’è solo da colpire chi si è macchiato di un dramma destinato a restare nella storia del Paese. E da Cutro deve partire un segnale forte e chiaro, con molta sostanza e poca apparenza. Evitando, però, la voglia di strafare, nel caso in cui qualcuno volesse rispondere alle proteste di piazza organizzare per contestare la trasferta del governo a Cutro. Gli errori commessi, e dai quali discendono le polemiche, non devono chiamare altri errori, ma pretendere solo risposte. O, almeno, atti concreti.