Anche se ormai ci stiamo gradualmente abituando a guardare con distacco il bollettino quotidiano dei nuovi casi e dei morti giornalieri per Coronavirus, la priorità assoluta resta quella di implementare la ricerca scientifica per sconfiggere il virus, la cui presenza offusca tutte le altre problematiche siano esse di natura sanitaria, economica o di altro tipo.
Tuttavia non possiamo non tener conto che anche in una fase così difficile per il nostro Paese, è necessario attuare un poderoso intervento culturale per estirpare la sempre più diffusa conflittualità sociale. Forse il peggior lascito della pandemia.
Si tratta di una conflittualità evidente ad ogni latitudine. In ambito familiare, nel 2020 vi è stato un aumento del 30% di richieste di separazioni, ma anche un aumento del 20% dei femminicidi e del 70% di violenze all’interno della famiglia.
L’abbandono scolastico, che come documentano le Procure minorili è giunto a livelli allarmanti, è dovuto ai conflitti all’interno della scuola che non riesce a rispondere in maniera appropriata alle rilevate e documentate sue contraddizioni.
A tutto ciò si aggiunga che il dibattito sulle recenti disposizioni relative alla somministrazione obbligatoria dei vaccini, è già stata oggetto di contrasti giudiziari destinati inevitabilmente ad aumentare.
Ecco quindi che unitamente ad una migliore attuazione del principio di precauzione, vale a dire la più efficace strategia di gestione dei rischi alla salute e all’ambiente, dobbiamo sin da ora implementare la prevenzione per evitare anche l’esplosione dei contrasti a livello sociale.
L’arma più potente da utilizzare è quella di una corretta comunicazione del rischio. Soltanto attraverso la stessa è possibile consentire alle persone di essere in sicurezza ma anche fare in modo che si sentano al sicuro, poiché solo in tal modo possono essere evitate le reazioni di rabbia e di panico.
Non c’è altra strada per risolvere i conflitti sociali se non quella di instillare dosi di fiducia. Un compito difficile che può essere adeguatamente svolto con il rafforzamento dell’autorevolezza delle Istituzioni e di chi le rappresenta, le quali devono porre la massima attenzione nel fornire informazioni corrette ai cittadini per elidere la percezione delle paure, senza nascondere i pericoli e le modalità con le quali si intende combatterli.
Diciamo pure francamente che la spasmodica promulgazione di provvedimenti legislativi giustificata dalla emergenza causata dal Covid-19, costituisce il rischio più rilevante del possibile acuirsi dello scontro in atto tra chi ritiene autocratica la soppressione di taluni diritti primari e chi la giustifica quando si tratta di preservare la tutela della salute. Unico diritto riconosciuto come fondamentale dalla Costituzione.
In questo momento così difficile per il Paese, ciò che deve essere assolutamente superato è la stucchevole pantomima politichese di dissensi puramente formalistici finalizzati al conseguimento di quote di potere, per concentrarsi alla costruzione di una sanità moderna.
D’altra parte il diritto alla salute può contare su un solido e consolidato aggancio legislativo rappresentato in primo luogo dalla Carta Costituzionale (art. 32) e da quella dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Disposizioni il cui contenuto tradizionale si identifica nel diritto al rispetto dell’integrità fisica della persona e nella concezione solidaristica dello Stato che delinea la fonte del diritto all’assistenza sanitaria.
E’ su questi presupposti che l’Italia, in un momento nel quale ricopriva una posizione avanguardista nel settore, istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (L. 28.12.1978 n. 833) che estendeva l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie a tutta la popolazione. Una riforma che ha consentito il passaggio dal sistema di previdenza sociale, nel quale i cittadini potevano ricevere assistenza solo a seguito del versamento di contributi agli enti mutualistici di appartenenza, ad uno di sicurezza sociale garantito per l’appunto dal Servizio Sanitario Nazionale.
Le vicende degli anni a seguire che hanno comprovato l’inefficienza e le gravi disfunzione del servizio con conseguente suo screditamento, sono meritevoli di una analisi che fino ad oggi è mancata anche in occasione degli interventi legislativi emanati, in particolare nell’ultimo decennio del secolo scorso, per porvi inutilmente rimedio. Non di meno, si dovrebbe ripartire dalla rilevanza sociale e culturale riconosciuta alla salute in quel momento storico, per proiettarci verso nuovi orizzonti e superare la diffidenza che emerge dalla impietosa indagine statistica secondo la quale soltanto il 44% degli italiani oggi sarebbe disposto a vaccinarsi.