In questo tempo, in cui viviamo molteplici crisi (climatica, pandemica, economica, ecologica, migratoria, bellica) sentiamo il bisogno di onorare e di imitare tutti coloro che hanno vissuto la loro esistenza sull’esempio di Cristo, scendendo dentro la storia dell’umanità, arricchendola di un principio nuovo di vita, amando senza misure, senza calcoli, senza attendere il contraccambio, costruendo strutture di amore e di dialogo. A fronte dei gravi problemi che stanno tragicamente manifestandosi oggi – basti pensare alla guerra in Ucraina, una guerra tra cristiani – non basta per i credenti sostenere un pacifismo di testimonianza, che da solo non sarebbe in grado di far avanzare la causa della pace. E’ stato da poco commemorato, nel terzo anniversario della morte, il cardinale Achille Silvestrini.
Il pacifismo di semplice testimonianza rischia di coltivare il sogno di eliminare la guerra dal mondo senza distruggere il mondo della guerra. Occorre, invece, decisamente impegnarsi sulla via di una non violenza pacifica, attiva e creatrice. Ossia una via che non solo condanna la guerra, ma che costruisce alacremente la pace, eliminando la violenza. È la via di un nuovo pacifismo, il cui slogan potrebbe essere espresso così: se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. La guerra va sconfitta predisponendo, a livello spirituale, sociale, economico, politico ed istituzionale, tutto ciò che la previene o la rimuove. Tra coloro che hanno lavorato a preparare nuove istituzioni di pace vi è stato appunto il cardinale Achille Silvestrini. Basti qui rammentare il suo impegno, a fianco e alla scuola del grande cardinale Casaroli, nelle molteplici trattative in vista della Conferenza di Helsinki del 1975, voluta dagli Stati del patto di Varsavia.
A Helsinki e a Ginevra fu Silvestrini a condurre le complicate trattative con le delegazioni degli Stati del Patto di Varsavia. Egli fu Capo-delegazione della Santa Sede alla Conferenza dell’ONU sull’uso dell’energia atomica del 1971 e alla Conferenza sul Trattato di non proliferazione delle armi atomiche del 1975. Come ebbe a scrivere lo stesso Silvestrini, la presenza della Santa Sede ad Helsinki rappresentò un segno della concezione della pace tra le nazioni come valore morale prima ancora che come questione politica. Il ruolo di Silvestrini nella stesura dell’Atto finale di Helsinki è stato rilevante. Con esso ha contribuito ad aprire le porte ad una nuova storia nei rapporti tra le nazioni, tra popoli e religioni, in vista della pace nel mondo. I cristiani sono chiamati ad essere costruttori di pace mediante l’educazione ma anche mediante la creazione di istituzioni di pace. Più che di manifestazioni, pure importanti, c’è bisogno di costruttori di istituzioni di pace. La parola di Dio, attraverso il vangelo di Luca, ci parla ancora una volta del Regno di Dio. Il Regno di Dio, impiantato su questa terra da Gesù Cristo, ci è stato raffigurato come un banchetto a cui non sono invitati solo i figli di Israele ma tutti i popoli della terra. La salvezza non è destinata a pochi. Il Regno di Dio è per tutti. Coloro che ne fanno parte sono accesi da un fuoco d’amore per Dio e per l’umanità. Sono chiamati ad annunciare a tutti gli uomini la bellezza e la gioia di vivere con Lui, di stare alla sua mensa. Il Regno di Dio non è destinato a rimanere piccolo. Al contrario. Nella mente di Dio è destinato a ingrandirsi, a non essere costituito da un “piccolo gregge”.
Lo spirito missionario di coloro che lo compongono è uno spirito non ripiegato sulla propria comunità, sul proprio gruppo e basta. È uno spirito aperto a tutti, che invita tutti i popoli a far parte della famiglia di Dio, a partecipare alla gioia della sua comunione e della sua vita. A tale convito si accede passando attraverso Cristo stesso, impegnando la propria vita nell’amore, nel servizio e nel dono di sé come ha fatto Lui, che è passato per la porta stretta della croce. Chi fa parte del Regno di Dio e partecipa al banchetto della vita è chiamato: a dare per primo, senza calcolare; a scendere, come il buon samaritano dalla sua cavalcatura, come l’invitato che si va a porre all’ultimo posto; a servire, prendendosi cura della vita in tutte le sue forme.