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Condividere è testimoniare la carità

Logo Interris - VIDEO MESSAGGIO AI CUBANI: “VENGO A VISITARVI PER CONDIVIDERE LA FEDE E LA SPERANZA”

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“Condividere” è parola-chiave del pontificato della misericordia. Secondo papa Francesco c’è sempre più bisogno di persone che si impegnino, ad ogni livello. Nella società. Nella politica, nelle istituzioni civili e religiose, nell’economia. Mettendo al centro il bene comune. Come ricordava già Benedetto XVI nell’enciclica
“Caritas in Veritate”, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo. Consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. “Condividere” è anche la parola nella quale don Aldo Buonaiuto, sacerdote di frontiera e Missionario della misericordia, racchiude l’apostolato della carità del Servo di Dio, don Oreste Benzi. Don Buonaiuto ha condiviso, passo dopo passo oltre tre lustri di cammino del fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. E nella sua testimonianza di prossimità agli ultimi sintetizza la vocazione missionaria nelle periferie geografiche ed esistenziali. Proprio per la “missione fino al martirio” quella di mercoledì sarà una giornata carica di significati. La Chiesa italiana commemora, infatti, il 24 marzo i martiri missionari, tra i quali don Roberto Malgesini e Fratel Leonardo Grasso  Per il religioso Camilliano si terrà alle 19 nella parrocchia San Paolo di Acireale una veglia diocesana in cui si riunirà in preghiera la famiglia di confratelli e fedeli che ha condiviso il suo servizio agli ultimi. Tra loro Fratel Carlo Mangione. Il direttore generale dell’ospedale “Santa Maria della Pietà” di Casoria è in prima linea in pandemia con il superiore della comunità, padre Luigi Maglione nell’opera assistenziale dei religiosi Camilliani (i “ministri degli infermi”).E’ costante in questi otto densissimi anni di pontificato il richiamo di Jorge Mario Bergoglio a una teologia incarnata che metta i teologi a confronto con il mondo contemporaneo. E con i suoi problemi. Come le “nuove migrazioni” di fronte alle quali occorre “farsi portatori di istanze etiche. Capaci di trasformarsi in azioni politiche. Necessariamente condivise”. Una condivisione che va oltre gli stessi legami europei. Trattandosi di una realtà le cui cause sono determinate dalla comunità internazionale. Laddove i responsabili sono gli Stati e le istituzioni intergovernative. Preoccupati di “garantire equilibri sempre più precari“. Piuttosto che “puntare a una stabilità”. E costruire “situazioni pacifiche“.Simbolo storico del mandato ecclesiale di “condividere” è un documento che risale alla chiusura del Concilio Vaticano II. E cioè al 16 novembre 1965. 42 vescovi (in seguito diventati 500) siglarono un patto nelle Catacombe di Santa Domitilla, a Roma. I contraenti si impegnavano a realizzarlo in prima persona. Con scelte coraggiose. Di rinuncia e di condivisione. Per una Chiesa vicina alle fasce sociali più emarginate. Ai diseredati. Agli indigenti. A chi subisce soprusi e ingiustizie. Al “Patto delle catacombe” si giunse attraverso un significativo cammino. Durante il Concilio, già dalla prima sessione, un gruppo di vescovi e teologi si riuniva periodicamente. Per riflettere su Gesù. La Chiesa. I poveri. E per fare delle proposte all’assemblea. L’iniziativa prese il nome di Chiesa dei poveri. Fratel Leonardo Grasso e don Roberto Malgesini ne sono stati eroici testimoni fino al martirio.Fratel Leonardo Grasso era il superiore della comunità camilliana di Acireale. Aveva preso i voti a 50 anni per dedicare la sua vita ai sofferenti. La svolta era arrivata dopo la morte di entrambi i genitori. deceduti a sei giorni di distanza l’uno dall’altro. Così da agente di commercio, con un’attività avviata e interessi mondani, aveva cambiato radicalmente la sua vita. Scegliendo di diventare camilliano. Raccontando la sua esperienza nel quarto centenario della morte di San Camillo, fratel Grasso aveva confermato di essere felice nell’operare al servizio dei sofferenti e dei bisognosi. Senza rimpianti per una vita ricca di divertimenti, ma che lo aveva lasciato vuoto e carico di domande a cui non riusciva a dare risposta. E aveva osservato come la sua parabola somigliasse molto a quella dello stesso San Camillo De Lellis, che dopo una vita scapestrata ha dedicato tutto se stesso ad aiutare gli altri. Tre mesi fa è stato ucciso da un ospite della comunità dei Camilliani per l’assistenza ai malati di Aids. E per il recupero dei tossicodipendenti. Alla “Tenda di San Camillo” di Riposto, a poca distanza da Acireale, ora i confratelli proseguono la sua testimonianza. Condividere la carità per testimoniare il Vangelo.

Giacomo Galeazzi: