Nella civiltà della informazione si può dire quello che si vuole ( o quasi ), e può accadere, come accade, che si possa dire tutto ed il contrario come se nulla fosse. Si dirà che siamo ormai abituati a questo stato di cose e dunque è inutile lamentarsene. Ma la questione da tempo sta diventando ancora più grave è preoccupante riguardo lo stato di confusione in cui ci troviamo.
Dicevamo che è ordinario che un organo di informazione possa raccontare la stessa cosa che tratta un altro soggetto analogo in un modo diverso. Potrà dipendere dalla aderenza ad una corrente politica, ad una filosofia della vita diversa dall’altro giornale, da interessi diversi dell’editore, dal maggior acume e professionalità di chi dirige il giornale o scrive. Ma quando nello stesso organo di informazione si arriva a descrivere delle cose che non sono proprio compatibili con il taglio di altri articoli propri, la cosa non può che suscitare perplessità.
Provoca sgomento poi, quando nella medesima pagina di dice una cosa in una colonna diversa dall’altra. Che si parli della modifica che dovrebbe regolare la fruizione del reddito di cittadinanza, senza entrare nel merito delle questioni di fondo su questo tema, e contemporaneamente riportare la notizia che le imprese non trovano nel mercato del lavoro le figure professionali occorrenti e che in molte attività come quelle turistiche, dei servizi, dell’agricoltura, sia diventato ancor più difficile che nel recente passato trovare manodopera disponibile, senza porsi il problema di cosa è potuto succedere se ci sono indici così anomali.
Eppure le decisioni su questi temi hanno ricadute importanti sulla vita nazionale: sul bilancio dello stato; sul funzionamento del mercato del lavoro; sui segnali di tendenza di spreco o di rigore rispetto alla spesa pubblica e nel rapporto con l’etica del lavoro; sul gioco politico di chi pretende al costo della stabilità del governo la permanenza dello status quo o il contrario. Certamente è difficoltoso nel pieno della discussione politica entrare nel merito delle cose che possono dividere, ma è inevitabile per chiunque sia un soggetto di interesse pubblico, per chi svolge nella società liberale la funzione della libera informazione.
Per dire la mia opinione invece, non è utile continuare a finanziare il reddito di cittadinanza senza chiedere di un impegno lavorativo a chi gode di un sussidio sostanzialmente equivalente a salari che si percepiscono nei lavori più faticosi ed umili. Per restare nel tema, è facile intuire il perché contemporaneamente alla estensione di questo discutibile provvedimento, continuerà ad non essere facile trovare in molti settori disoccupati disponibili. Si dirà che si sta cambiando provvedimento con la legge di Bilancio, ma sono molto perplesso, perché sembra pare che si voglia affidare agli uffici pubblici per l’impiego la sorveglianza sulla accettazione o no di un lavoro da parte di un beneficiario che in caso di indisponibilità ad accettare un posto di lavoro, perderebbe il sussidio.
Ma io dubito che gli uffici pubblici per l’impiego siano in grado di svolgere questo compito, per il solo fatto che le imprese, nella grande maggioranza dei casi, non si rivolgono agli uffici pubblici, ma a quelli privati che sono più veloci ed professionali in quanto conoscono a menadito la dinamica della domanda ed offerta di lavoro, conoscendo bene il proprio mestiere. Dunque quale controllo potranno fare: la situazione cambierà a parole, ma non nei fatti. Non possiamo a questo punto che sperare che in Parlamento se ne discuta con cognizione di causa. Staremo a vedere.