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“Combattere per la pace”: l’inganno di una società violenta

Foto di Rodolfo Quevenco da Pixabay

Il conflitto fra Hamas e Israele tiene il mondo con il fiato sospeso, la preoccupazione è che possa dilagare anche in altri Stati del Medio Oriente, causando ancora più morte e distruzione di quanto fatto fino ad ora. Le immagini e le notizie che i media ci mostrano hanno lasciato tutti senza parole: non si può non rimanere inorriditi davanti a tanta violenza.

La guerra è un orrore. La nostra società, purtroppo, ha un modo sbagliato di comunicare la guerra, si cerca sempre di trovare una giustificazione. Ma non possiamo pensare che uno strumento non sia omogeneo al fine che si prefigge: dire che “si combatte per la pace” è una falsità, uno dei tanti inganni di una società sempre più violenta. L’orrore della guerra non è mai giustificabile, non possiamo inorridire solo quando le vittime sono dei bambini, degli anziani. La guerra non è una tragedia solo quando colpisce un ospedale, come è successo nei giorni scorsi a Gaza. Lo è anche quando a perdere la vita sono dei soldati che si uccidono fra loro.

Dobbiamo trovare la forza necessaria per disinnescare questa mentalità. La pace non può essere costruita attraverso la logica delle armi e della violenza: in questo modo l’escalation è inevitabile e, portata agli estremi si potrebbe arrivare all’autodistruzione dell’umanità. Viviamo, purtroppo, in quella “terza guerra mondiale a pezzi” denunciata molto tempo fa da Papa Francesco.

Per costruire la pace bisogna cercare un modo diverso di risolvere i contrasti. L’odio e la violenza si sono stratificati di generazione in generazione in questi due popoli, fino ad avvelenarli. Bisognerebbe iniziare a lavorare sul perdono, un percorso lungo e difficile, ma niente è impossibile. Lo dimostrano dei piccoli semi di pace, delle “oasi” che fanno sperare in una possibile convivenza pacifica fra israeliani e palestinesi. Ad At-Tuwani ed Hebron ci sono persone che hanno rifiutato e rifiutano ancora oggi l’utilizzo della violenza. Famiglie che insegnano ai loro figli la pace e l’amore per gli altri. Ecco perché è importante “ricostruire” la coscienza di questi due popoli, estirpare quell’odio che si è stratificato di generazione in generazione. Seminare la pace è possibile, così come lo è scegliere la nonviolenza: i frutti ci sono e sono visibili da tutti, bisogna avere la volontà di guardare nel punto giusto.

Matteo Fadda: