Editoriale

La sinodalità è nel Dna della Chiesa

La Chiesa nasce sinodale. Con un significato specifico, sin dai primi secoli, vengono designate con la parola “sinodo” le assemblee ecclesiali. Convocate a vari livelli (diocesano, provinciale o regionale, patriarcale, universale) per discernere, alla luce della Parola di Dio e in ascolto dello Spirito Santo, le varie questioni che si presentano. Dottrinali. liturgiche. canoniche. Il termine greco “sinodos” viene tradotto in latino con sýnodus o concilium. Concilium, nell’uso profano, indica un’assemblea convocata dalla legittima autorità. “Benché le radici di ‘sinodo’ e di ‘concilio’ siano diverse, il significato è convergente– spiega la commissione teologica internazionale-. Anzi, ‘concilio’ arricchisce il contenuto semantico di ‘sinodo’ richiamando l’ebraico ‘qahal’. Cioè l’assemblea convocata dal Signore. E la sua traduzione nel greco ‘ecclesia’, che designa nel Nuovo Testamento la convocazione escatologica del Popolo di Dio in Cristo Gesù”.Jorge Mario Bergoglio, primo papa a non aver preso parte al Vaticano II, ha come filo rosso del suo pontificato la realizzazione e l’attualizzazione della primavera conciliare. Il Concilio costituisce il vero programma di Francesco. E il suo magistero va interpretato e vissuto alla luce del Vaticano II. Una conferma di ciò la offre lo stesso Pontefice arrivato, per sua celebre autodefinizione nel primo saluto ai fedeli in piazza San Pietro, quasi dalla fine del mondo. 16 aprile 2013, Francesco è papa da poco più di un mese. Nel giorno del compleanno di Benedetto XVI, Bergoglio ricorda l’azione di Ratzinger per il Vaticano II, da vivere e non solo da celebrare. Parole profetiche, quelle di Francesco, rispetto alla sua azione di riforma radicale della Chiesa. E alle resistenze che essa incontrerà nei settori più conservatori della Curia romana e degli episcopati nazionali. Il Concilio è frutto dello Spirito, ma in molti vogliono tornare indietro. Nella Chiesa cattolica la distinzione nell’uso delle parole “concilio” e “sinodo” è recente. Nel Vaticano II sono sinonime nel designare l’assise conciliare. Una precisazione è introdotta nel Codex Iuris Canonici della Chiesa latina (1983). Dove si distingue tra Concilio particolare (plenario o provinciale) e Concilio ecumenico, da un lato, Sinodo dei Vescovi e Sinodo diocesano, dall’altro.Nella letteratura teologica, canonistica e pastorale degli ultimi decenni si è profilato l’uso di un sostantivo di nuovo conio, “sinodalità”. Correlato all’aggettivo “sinodale”. Entrambi derivati dalla parola “sinodo”. Si parla così della sinodalità come “dimensione costitutiva” della Chiesa e tout court di “Chiesa sinodale”. Questa novità di linguaggio chiede un’attenta messa a punto teologica. E attesta un’acquisizione che viene maturando nella coscienza ecclesiale a partire dal Magistero del Vaticano II e dall’esperienza vissuta, nelle Chiese locali e nella Chiesa universale, dall’ultimo Concilio sino a oggi. Papa Francesco conosce le difficoltà del rinnovamento conciliare. Lo Spirito Santo ci dà fastidio perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti, secondo il Pontefice. Invece vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca, vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E questo contraddice la missione della Chiesa. Perché Lui è Dio e Lui è quel vento che va e viene e tu non sai da dove. Infatti, raccomanda Francesco, è la forza di Dio, è quello che ci dà la consolazione e la forza per andare avanti. Perché la Chiesa è sempre in cammino, in uscita. Verso le periferie geografiche ed esistenziali. Papa Roncalli sembrava un parroco buono e il Vaticano II resta ancora attuale. Dopo oltre mezzo secolo abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio?. A porre queste domande è stato proprio Francesco. Utilizza il termine “continuità” citando così l’interpretazione di Benedetto XVI nell’importante discorso del 20 dicembre 2005 alla Curia romana. Sull’ermeneutica della continuità che si oppone a quella della rottura. Francesco fa capire subito di che pasta è fatto e risponde che “no”, il Concilio è rimasto largamente inapplicato. Dunque il Concilio Vaticano II ha rappresentato un’occasione storica per una grande rivoluzione ecclesiastica, che però non si è ancora del tutto concretizzata. Grazie allo spirito conciliare, la Chiesa si è aperta al mondo, ma numerosi passi avanti devono essere ancora compiuti. “Festeggiamo questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare”, mette subito in chiaro. Di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi. Questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo. Questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore. Niente mezze misure, il vento conciliare soffia come un uragano sulle coscienze intorpidite dal conformismo. “Succede lo stesso anche nella nostra vita personale”, avverte Jorge Mario Bergoglio. “E lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica ma noi resistiamo“. Il monito di Francesco è perentorio e fuga immediatamente il campo da equivoci. Non si illudano i nemici del Concilio di poter opporre resistenza allo Spirito Santo, perché è lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio. Una prospettiva di governo della Chiesa che si sostanzia di abbandono a Dio. Non opporre resistenza allo Spirito. E’ questa la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessimo al Signore. Ossia la docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella strada della santità. Quella “santità tanto bella della Chiesa“.

Giacomo Galeazzi

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