Editoriale

Chi accoglie e chi è accolto: due facce della stessa medaglia

Nulla di ciò che è umano mi è estraneo”, scriveva oltre due millenni fa Terenzio. La massima del commediografo latino sembra attagliarsi perfettamente all’urgenza globale dell’accoglienza. Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata del migrante e del rifugiato. Il tema scelto per la 110° edizione (“Dio cammina con il suo popolo”) risuona come definizione della Chiesa in uscita e mandato del suo percorso sinodale. Come sottolinea Papa Francesco, in un’epoca di così vaste migrazioni, un gran numero di persone lascia i luoghi d’origine e intraprende il rischioso viaggio della speranza. Recano un bagaglio pieno di desideri e di paure. Sono alla ricerca di condizioni di vita più umane. Ma spesso questi movimenti migratori, rileva il Santo Padre, suscitano “diffidenze e ostilità”, prima ancora che si conoscano le storie di vita, di persecuzione o di miseria delle persone coinvolte.

Quante volte, anche noi nella nostra quotidianità non di rado indifferente o sbadata, siamo inciampati nella tentazione di giudicare senza conoscere, di condannare senza empatizzare. O siamo scivolati in parole avvelenate dalla xenofobia! Don Oreste Benzi, da infaticabile apostolo della carità dalla parte degli ultimi e degli indifesi, ripeteva che nessuno è così povero da non aver qualcosa da dare, e nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere qualcosa. Chi accoglie e chi è accolto sono le due facce della stessa medaglia. La condivisione solidale ci unisce in fraternità e necessità reciproca di misericordia e comprensione. Al contrario troppi sospetti e pregiudizi si pongono in conflitto con il comandamento biblico di accogliere con rispetto e solidarietà lo straniero bisognoso.

Dall’Onu alle istituzioni civili e religiose sono migliaia gli operatori e i volontari impegnati nelle strutture di prima assistenza e soccorso e nei centri di accoglienza. Un esempio testimoniato ad ogni livello di responsabilità. Nel suo Magistero Jorge Mario Bergoglio reitera senza sosta l’accorata chiamata a toccare la miseria umana e a mettere in pratica il precetto dell’amore per riconoscere Cristo nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli. Mezzo secolo fa, nella lettera apostolica Octogesima adveniens”, San Paolo VI esortava gli occidentali a “condividere le risorse” e a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere. Anche l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI parte dall’assunto che le migrazioni interpellano tutti, non solo a causa dell’entità del fenomeno, ma anche per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che sollevano, per le sfide drammatiche che pongono alle comunità nazionali e a quella internazionale. Sulle orme dei suoi predecessori, Francesco invoca, quindi, il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione ad un approccio che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno. Pensare secondo il bene per comportarsi da fratelli. E’ esperienza comune nelle nostre città condividere l’esigenza di integrare i migranti.

Per tutta l’estate all’oratorio Carlo Acutis di Fabriano, con quattrocento bambini di ogni estrazione e provenienza, abbiamo trasversalmente declinato l’accoglienza sotto il profilo della formazione e dell’educazione. Tanti mettono il loro lavoro e le loro energie al servizio di quanti cercano con l’emigrazione una vita migliore. Si tratta di generosi e lodevoli sforzi a cui va accompagnata un’azione più incisiva ed efficace che si avvalga di una rete universale di collaborazione, fondata sulla tutela della dignità e della centralità di ogni persona umana. In tal modo sarà più incisiva anche la lotta contro il vergognoso e criminale traffico di esseri umani, contro la violazione dei diritti fondamentali, contro tutte le forme di violenza, di sopraffazione e di riduzione in schiavitù. Lavorare insieme, ricorda Francesco, richiede reciprocità e sinergia, con disponibilità e fiducia, ben sapendo che nessun Paese può affrontare da solo le difficoltà connesse a un fenomeno che è così ampio da interessare ormai tutti i continenti nel duplice movimento di immigrazione e di emigrazione. “Straniero, se passando mi incontri e desideri parlarmi, perché non dovresti farlo? E perché non dovrei farlo io?”, si chiedeva il poeta Walt Whitman. Spetta a tutti e a ciascuno rispondere.

don Aldo Buonaiuto

Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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