Categories: Editoriale

La centralità della pastorale carceraria nel magistero di Francesco

Carceri

Foto di Ye Jinghan su Unsplash

Il Papa oggi, sabato18 maggio, sarà nel carcere di Montorio, a Verona, dove è previsto l’incontro con i detenuti con i quali trascorrerà anche il pranzo. Solo poche settimane fa il Pontefice ha fatto visita alla Casa di Reclusione Femminile “Giudecca” di Venezia, qui si è trattenuto con le detenute dicendo loro che hanno “un posto speciale” nel suo cuore. Una scelta altrettanto significativa è stata quella di far ospitare il Padiglione della Santa Sede per la Biennale d’arte, proprio nell’’istituto femminile di Venezia.

L’attenzione di Francesco per le carceri appare evidente se si considera poi che è solito passare la sera del Giovedì Santo in un istituto di pena di Roma, dove celebra la Messa in Coena Domini e il rito della lavanda dei piedi, lavando lui stesso i piedi a carcerate e carcerati. E se non si è ancora compreso quanto sia centrale la pastorale carceraria nel magistero di Francesco, va detto che nella Bolla di indizione del Giubileo 2025 viene annunciata la volontà ad aprire una Porta Santa in carcere. “Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza – si legge nel testo ‘La speranza non delude’ firmato dal Papa – io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”. Nella Bolla di Indizione viene inoltre proposto ai Governi “che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società”.

Tutto questo è in linea con l’esortazione del Santo Padre a presidiare e portare conforto non solo nelle periferie geografiche di questo mondo ma anche in quelle esistenziali della nostra società, dove c’è più bisogno dell’opera di misericordia della Chiesa. Non a caso Gesù ha detto di essere venuto per i malati e non per i sani e tra le opere di misericordia corporali chiede proprio di visitare i carcerati. Già da prete e, poi, da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio visitava con frequenza i detenuti delle carceri argentine. Da Pontefice ha continuato a farlo e il primo Giovedì Santo da successore di Pietro lo ha celebrato nel centro di reclusione minorile Casal di Marmo di Roma.

Il Papa con questi gesti chiede un impegno a tutti noi che siamo fuori dalle mura dei penitenziari, interroga la nostra superbia che ci induce sempre ad auto-assolverci a farci sentire senza peccato. Francesco in questo modo si rivolge anche alla società e alle istituzioni affinché non sia mai tolta la dignità alle persone, nei suoi discorsi pronunciati nelle carceri non mai mancata la denuncia al sovraffollamento, alle violenze e alle sofferenze. Il Santo Padre parla poi direttamente ai detenuti, lancia loro un messaggio di speranza, espiazione e redenzione. Alla Giudecca ha spiegato alle detenute che “la permanenza in una casa di reclusione può segnare l’inizio di qualcosa di nuovo” per “rinascere, ricominciare, riandare avanti”.

Infatti perdere la libertà è una ferita indelebile ma che a volte può è necessaria per arrivare un ravvedimento sincero e pienamente cosciente. Dietro le sbarre possono iniziare percorsi virtuosi, che Francesco mette in luce in questo modo: “Il carcere può anche diventare un luogo di rinascita, morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è ‘messa in isolamento’, ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità, magari rimaste sopite o imprigionate dalle vicende della vita, ma che possono riemergere per il bene di tutti e che meritano attenzione e fiducia”.

Marco Guerra: