Le cause economiche e culturali della natalità

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Foto di Sandro Gonzalez su Unsplash

In Italia non si arresta il calo delle nascite, il 2023 ha fatto registrare un altro record negativo, dall’unità di Italia a questa parte, con appena 379.890 bambini venuti al mondo sul suolo della nostra nazione. Il trend continua anche nel 2024, in base ai dati provvisori nei mesi che vanno da gennaio a luglio si sono registrare circa 4600 nascite in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

In pratica in Italia nel 2023 per ogni mille residenti sono nati poco più di sei bambini lo scorso anno. Ma il dato veramente allarmante, quello che certifica un reale peggioramento del contesto sociale relativo alla natalità è quello del cosiddetto tasso di fecondità, ovvero il numero medio di figli per donna, che nel 2023 è sceso a 1,2 rispetto all’1,25 del 2022. Un dato, quello dello scorso anno, che si avvicina al minimo storico di 1,19 registrato nel 1995, quando tuttavia nascevano oltre 525mila bambini.

Dunque il crollo, in numeri assoluti, delle nascite è dovuto al fatto che il 1976 è stato l’ultimo anno in cui le coppie italiane hanno raggiunto il cosiddetto tasso di sostituzione fissato dai demografi, ovvero il 2,1 figli per donna, che consente che i genitori siano sostituiti dai loro figli. Le donne in età fertile (convenzionalmente fatte rientrare nella fascia di età che va dai 15 ai 49 anni) dei giorni di oggi sono già molte meno rispetto a quelle delle generazioni precedenti. Le (poche) donne degli anni ‘80 e le ragazze degli anni ‘90 che oggi decidono di fare un figlio appartengono ad una generazione che è già numericamente inferiore rispetto a quelle precedenti. Per farla breve, possiamo dire che le culle vuote oggi sono dovute al fatto che le donne in età fertile non sono più la fetta maggioritaria della popolazione totale e che oltretutto queste hanno un tasso di fecondità tra meno prolifici della storia.

Sulle pagine di InTerris abbiamo parlato molte volte delle cause economiche e culturali di questo fenomeno, spiegando e mettendo in risalto le dinamiche di entrambi i fattori. E’ utile infatti ricordare quanto il welfare e le politiche familiari in Italia siano deficitari, malgrado negli ultimi anni sia stato introdotto l’assegno unico e misure di conciliazione lavoro famiglia, come lo smart working e concedi parentali più generosi. Va inoltre considerato che tutti i Paesi europei sono afflitti dalla denatalità, basta pensate che nel 1965 nei 27 Paesi che compongono ora l’Ue nascevano circa 7 milioni di bambini nel 2020 meno di 4 milioni. Eppure diversi Stati del nord e del centro Europa sono riusciti ad invertire il costante calo delle nascite, varando grando incentivi per la natalità e più in generale costruendo una società a misura di bambino, dagli asili allo sport, fino a tutta una serie di servizi e benefit che sostengono i genitori a far fronte a tutte le spese per la crescita e la formazione dei loro ragazzi.

Segnali di miglioramento arrivano ad esempio dalla Germania, dalla Polonia e dall’Ungheria. Va dettò però che nessuno dei 27 Paesi Ue raggiunge il tasso di sostituzione, in altre parole nemmeno nel più generoso sistema di welfare le donne mettono al mondo almeno due figli. La Francia costituiva una felice eccezione fino a pochi anni fa ma i cugini d’oltralpe, pur essendo ancora i più prolifici, si attestano ormai a un tasso di 1,86.

Proprio grazie a questa fotografia della demografia europea, arriviamo al secondo punto, ovvero alla questione culturale. L’orizzonte valoriale, emotivo, educativo e socio-politico delle nostre società contemporanee relega la genitorialità e la filiazione ad una sfera meramente privata, che non merita di essere tutelata, promossa e messa in luce come qualcosa che effettivamente alimenta il bene comune e la tenuta del tessuto sociale. Non si tratta solo di priorità nelle scelte politiche e istituzionali ma della narrazione espressa da tutto il circuito dei nuovi e vecchi media. Mettiamoci anche che la famiglia non viene rappresentata in tutta la sua bellezza ma come un contesto conflittuale. Detto brutalmente, oggi una donna o un uomo che decidono di sacrificarsi per dei figli sono raccontati come dei perdenti che non hanno saputo prendere tutto quello che la vita offriva loro. A tutto questo aggiungiamo lo sfilacciamento delle relazioni, il consumo bulimico di una sessualità occasionale e l’incapacità di impegnarsi in qualcosa che duri (almeno nelle volontà iniziali) per sempre.

Infine c’è un ultimo aspetto che va tenuto in conto, quello sanitario. Nel dibattito pubblico è completamente assente l’allarme lanciato dalla classe medico-scientifica circa l’aumento dell’infertilità tra le giovani coppie. Secondo le ultime ricerche il numero dei gameti maschili si è ridotto 80 per cento e le endometriosi e le disfunzioni ovariche sono sempre più diffuse tra le donne. Tutto questo è dovuto a stili di vita sbagliati, all’assunzione prolungata di alcol, fumo e droghe ma anche alla tossicità ambientale, le scorie biologiche e chimiche presenti negli alimenti, nelle acque e nell’aria, determinano il forte incremento delle patologie legate alla fertilità di coppia.

Un vero piano per la natalità deve quindi avere una visione complessa che non si limiti ai numeri di una finanziaria. Gli aiuti economici sono fondamentali tanto quanto la creazione di una ambiente socio culturale che valorizzi la maternità e la paternità, non ultimo ragazzi e ragazzi dovrebbero essere istruiti a conoscere e custodire meglio il loro corpo, un tempio dell’anima che non possiamo trascurare.