Alla Gmg papa Francesco di fronte all’effigie mariana di Fatima, ha recitato una preghiera intensa pet la pace. “Con cuore di figli ti consacriamo le nostre vite, ogni fibra del nostro essere, tutto quello che abbiamo e siamo, per sempre. Ti consacriamo la Chiesa e il mondo, specialmente i Paesi in guerra”, si legge nel testo, che prosegue: “Ottienici la pace. Tu, Vergine del cammino, apri strade dove sembra che non vi siano”. La frase conclusiva esprime la totale fiducia nella forza di intercessione della Vergine, più forte di qualsiasi male: “Tu, che sciogli i nodi, allenta i grovigli dell’egoismo e i lacci del potere. Tu, che non ti lasci mai vincere in generosità, riempici di tenerezza, colmaci di speranza e facci gustare la gioia che non passa, la gioia del Vangelo”.
Il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha spiegato ai giornalisti che in quel “lungo momento di silenzio” nella Cappellina davanti alla Madonna “il Papa ha pregato, con dolore, per la pace”. Una sorta di anticipazione del quarto mistero del Rosario recitato poco dopo davanti al Santuario portoghese, che aveva al cuore quella stessa supplica. Parole di puro Vangelo. Cristo, infatti, vuole interrompere la spirale di violenza che si sta abbattendo su di lui. Alla violenza risponde con la nonviolenza. È profondamente consapevole dei rapporti aggressivi, che determinano le strutture della realtà esistente: la violenza chiama violenza; chi pratica violenza subisce violenza e, facilmente, mette in atto altra violenza. La catena si interrompe solo rinunciando alla violenza. Ma ciò non implica subirla con passiva rassegnazione. Si rinuncia alla violenza non perché si è impotenti ‒ Gesù non è indifeso. Ha a sua disposizione un enorme potenziale di forza, contro il quale la violenza terrena non potrebbe che infrangersi ‒, ma vi rinuncia con la forza dell’Amore e del perdono, seppure umanamente “costosi”.
Colui che, per amore di Dio e dell’uomo, smaschera le strutture di violenza non può sfuggire alla reazione che la violenza immancabilmente gli scatenerà contro. Preparandosi al terribile sacrificio, prima ancora di essere catturato Egli confida agli apostoli e alla folla: «È giunta l’ora che sia glorificato il figlio dell’uomo» (Gv 12, 23). «Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, glorifica il tuo nome» (Gv 12, 27-28). Cosciente d’essere l’Uomo Nuovo, nel momento stesso in cui è attivo nel dono supremo di sé, e si prepara ad affrontare la morte, Gesù inaugura per ogni uomo un cammino di nonviolenza e di pace. In Gesù, che riconcilia l’umanità con Dio accettando di compierne la volontà, viene prefigurata un’esistenza di comunione con il Padre e con i fratelli: l’uomo è essere per la pace e la nonviolenza. Anche l’uomo, creato ad immagine somigliantissima di Dio e redento da Cristo, è chiamato ad essere profeta della pace e della nonviolenza, superando discriminazioni di ogni tipo, fra vicini e lontani, fra amici e nemici. La storia umana, in virtù del mistero della creazione e dell’incarnazione, trova inscritta in sé la vocazione all’unità, alla partecipazione della vita di Amore che incessantemente fluisce all’interno della Trinità, in una parola, alla pace. La nuova immagine di Dio, rivelata dal Signore Gesù, fonda ed esige fra le persone nuovi rapporti, contrassegnati dalla fraternità, dalla concordia e dal perdono, dalla verità e dalla giustizia, dalla solidarietà. La croce di Cristo è per il credente denuncia e vittoria sulla violenza, segno della solidarietà di Dio con l’uomo oppresso e sfregiato nella sua dignità.
La croce non è propriamente apologia della sofferenza, del sacrificio e della morte. Abbracciandola, Gesù la trasforma in atto d’accusa della violenza del sistema religioso-politico del suo tempo, da cui è rifiutato e ingiustamente condannato. Per la risurrezione, che non è compenso e riparazione dell’apparente insuccesso della morte di Gesù, ma l’affermazione sfolgorante della potenza della vita divina, la croce indica ad ogni uomo la via che porta al trionfo sulla violenza e sull’odio. Con la crocifissione, Gesù assume su di sé anche la condizione di ogni persona ingiustamente condannata. Poiché Dio Padre si curva sul Figlio per accogliere il dono della sua vita e per eternarla nel dinamismo potente della risurrezione, la croce testimonia la solidarietà di Dio nei confronti di chiunque sia calpestato nei suoi diritti fondamentali.