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Calimero e la Lufthansa

I più giovani non sanno nemmeno chi sia, ma Calimero era un’animazione cartoon protagonista di alcune campagne pubblicitarie negli Anni 60/70. Era un pulcino che faceva un sacco di guai, e quando veniva sgridato si difendeva dicendo che tutti se la prendevano con lui perché era piccolo e nero. A parte il messaggio vagamente razzista che all’epoca non veniva colto, la sua figura è entrata nel patrimonio collettivo come rappresentazione di chi si sente costantemente perseguitato; un po’ paranoico, diremmo oggi.

E’ esattamente l’atteggiamento di certa parte dell’Italia, anche del mondo politico, che per affermare la bontà delle proprie scelte e organizzazione sociale aspetta di puntare il dito contro le manchevolezze altrui. Il caso del volo Lufthansa è emblematico. Siamo in una grave crisi sistemica, con un’economia praticamente azzerata a fronte di un debito pubblico che si gonfia ogni giorni di più, un mercato del lavoro agonizzante, la deflazione alle porte; però ci permettiamo di fare i professori – a volte anche ironizzando sui morti – puntando il dito contro le falle degli altri.

Abbiamo massacrato l’Alitalia, utilizzandola per anni come una mucca da mungere al servizio della politica, buttando soldi in benefit che non avevano ragione di esistere, autorizzando assunzioni a pioggia, facendo scelte strategiche profondamente sbagliate come quella di puntare sui voli nazionali nel momento in cui le Ferrovie si affacciavano all’alta velocità, cambiando asset societari già due volte in seguito a default (conclamati o prossimi) della Compagnia; abbiamo rinunciato a una vendita vantaggiosa con Air France per poi essere costretti a farla ugualmente alle condizioni di Ethiad.

Nonostante questo sfacelo puntiamo il dito contro la Compagnia tedesca che certo ha delle responsabilità, ma resta pur sempre quella che ha il miglior nome mondiale rispetto agli standard qualitativi. Mettiamocelo in testa: fa notizia proprio perché è quasi un’assurdità che Lufthansa possa sbagliare. Non accadrebbe lo stesso dalle nostre parti. E, paradossalmente, non perché le nostre professionalità siano meno importanti di quelle teutoniche, ma poiché il marchio Italia negli anni è stato umiliato, svenduto, sfibrato.

Non abbiamo nulla da guadagnare facendo i “soloni” sulle defaillance tedesche; certo, possiamo intercettare la pancia del popolo, nutrendolo per breve tempo di un nazionalismo inconsistente, ad uso e consumo di un sondaggio elettorale o di qualche clic sul pc e copie in più in edicola. Ma poi, alla distanza, visto come siamo messi oggi non abbiamo che da rimetterci. Concentriamoci invece sulla nostra economia, facciamo ripartire il Pil, inneschiamo strategie virtuose per il mondo del lavoro. E cerchiamo di guardare all’Estero per capire dove sbagliamo. Gli altri non sono meglio di noi, noi non siamo migliori degli altri. Ripartiamo da qui, senza pregiudizi.

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