Mi rivolgo alla classe dirigente di questo Paese. Persino le Sacre Scritture sono ricche di richiami ai pericoli di un’eccessiva ricerca dei primi posti (i discepoli discutono per chi nel Regno siederà alla destra e alla sinistra del Signore) e alla necessità di non distruggersi nelle rivalità interne (monito di San Paolo alle comunità delle origini nelle quali ci si “mordeva” per contrapposizioni e invidie). In tempo di pandemia si accresce il pericolo di una nuova Torre di Babele nella quale chi ha responsabilità pubbliche litiga usando linguaggi tra loro inconciliabili. Lo vediamo ogni giorno anche laddove il rigore e la capacità di misurare i termini dovrebbero essere requisiti indispensabili e non negoziabili.
In particolare sconcerta e disorienta l’alternanza vorticosa di interventi su questioni scientificamente complesse (come la comparsa di nuove varianti del virus) che avrebbero bisogno di una trattazione univoca e oggettiva. In tanti manifestano lo spaesamento del popolo per notizie o opinioni che i dirigenti (sanitari, politici, economici) riversano senza sosta sull’opinione pubblica. Intanto restano senza risposta alcune domande che ricorrono angosciose in queste settimane di dura prova individuale e collettiva.
Perché dalle priorità del piano vaccinale sono stati escluse le persone con disabilità e chi le assiste (i caregivers)? La lentezza con cui arrivano in Italia le dosi di vaccino è causata da errori organizzativi oppure sono stati presi accordi internazionali che antepongono gli interessi finanziari alle esigenze del bene comune? Cosa si può ragionevolmente spiegare ai fragili e ai più esposti che attendono invano di poter essere messi al riparo dalla malattia? Perché accanto al legittimo fattore anagrafico non si è subito aggiunta la considerazione per le situazioni di disagio legate alla malattia, alla non autosufficienza, alla disabilità intellettiva, e a tutte quelle condizioni che impediscono di adottare efficaci misure di prevenzione?
Un papà in lacrime ha descritto il calvario del figlio autistico con il quale è complicato condividere l’esigenza del distanziamento fisico e della mascherina. Tra le prime dichiarazioni dei nuovi governanti del mondo, da una parte e dall’altra dell’oceano, c’è stata la promessa di limitare le esternazioni sul Covid e di concentrare gli sforzi sulla ricerca e la diffusione di farmaci e vaccini. Il G7 in queste ore si è impegnato a far arrivare le fiale ai Paesi più poveri che non possono acquistarle dalle case farmaceutiche. Il mio pensiero va in particolare a nazioni martoriate come la Repubblica Centroafricana e la Guinea dove alle guerre civili si sommano le devastazioni di pandemie vecchie (ebola) e nuove (Sars-cov-2).
La coscienza del mondo non può assistere indifferente al martirio dei fragili la cui debolezza diventa in questa emergenza sanitaria un atto di accusa per le nostre inefficienze e per la mancata pianificazione di una “reazione generalizzata” ad un’urgenza che falcidia vite innocenti, spesso vittime della malasanità e delle disuguaglianze sociali. La tempesta del Covid travolge ciascuno di noi, ma sembra che non siamo tutti realmente sulla stessa barca. I poveri pagano con il sangue secoli di ingiusta ripartizione delle risorse e la pandemia ha fatto esplodere le contraddizioni più scandalose della nostra società. Non c’è notte così buia da impedire al sole di sorgere: l’auspicio ad essere illuminate siano le menti e i cuori di coloro ai quali è delegata la responsabilità pubblica delle decisioni. Non chiudiamo mai gli occhi alla luce che scende dal cielo.