Le bollette del gas e dell’elettricità impazzite hanno fatto risvegliare la necessità di arrivare in Europa ad un accordo unitario su un tema sul quale i vari paesi membri della UE erano andati in ordine sparso fino ad ora, condividendo solo l’obiettivo di spendere il meno possibile per l’approvvigionamento di energia. Ci si sta ora rendendo conto quanto la globalizzazione avesse “drogato” le politiche economiche e le relazioni di politica estera dei vari paesi occidentali (Stati Uniti inclusi), sintonizzandoli su un’unica variabile: il low cost. Le fabbriche venivano delocalizzate nei luoghi dove si pagava meno il costo del lavoro, dove le risorse erano abbondanti e quindi venivano offerte sul mercato ai prezzi più bassi, dove la tassazione era meno forte o addirittura nulla (i paradisi fiscali) e ciò senza alcuna attenzione a principi di giustizia ed equità e nemmeno al fatto che i paesi con cui si commerciava applicassero almeno i diritti più fondamentali di libertà.
Nessuna attenzione veniva anche data alle prospettive politiche che taluni di questi paesi potevano coltivare sulla base delle relazioni di mercato attivate dal mondo occidentale che davano loro tecnologie e know how. Il risveglio a cui la guerra di Ucraina ha portato è stato drammatico e non ancora pienamente compreso dall’Occidente. Per il momento si sta ricorrendo a “pezze”, per non far lacerare del tutto il tessuto dell’economia occidentale, particolarmente europea, molto più dipendente degli Stati Uniti dalle importazioni di energia.
Vediamo quali sono queste “pezze” in relazione al settore energetico. Gli ultimi accordi raggiunti a Bruxelles includono: taglio dei consumi energetici che dovranno arrivare al 15% se l’emergenza peggiora; acquisti congiunti sul mercato per almeno il 15% del totale dell’energia importata dalla UE, da far crescere se l’emergenza peggiora; mutuo sostegno ai paesi che si dovessero trovare a corto di energia, dopo aver attuato tutte le necessarie precauzioni; un Fondo comunitario per sostenere consumi di energia fossile ritenuti necessari, che dovrebbe arrivare a un vero e proprio piano denominato REpowerEU, di oltre 220 mld euro, con un primo pacchetto di 40 mld, finanziato con gli avanzi dei fondi di coesione, cronicamente sottoutilizzati; un finanziamento dei rigassificatori per poter importare più GNL (gas liquido); infine una versione ancora non chiara del tanto contestato price cap e del disallineamento tra costo dell’elettricità e costo del gas, che prevede indicatori diversi dal mercato borsistico di Amsterdam per fissare il prezzo del gas e entra in funzione solo per evitare picchi speculativi (il cosiddetto ‘meccanismo dinamico’). Questi accordi hanno già valso un rientro della speculazione solo come effetto d’annuncio, a dimostrazione di quanto sia importante per la UE agire di concerto.
Le bollette in un modo o nell’altro verranno sgonfiate, ma quanti sono i settori in cui Europa e, sia pur in minor grado Stati Uniti, sono dipendenti da paesi politicamente inaffidabili per produzioni strategiche? Ogni tanto se ne citano alcuni: microchip, pannelli solari, terre rare, cobalto, ma ce ne sono molti altri che richiedono piani mirati, da aggiungere a quelli per sviluppare l’idrogeno e magari anche il nucleare cosiddetto “pulito”. Non si tratta di rovesciare interamente il processo di globalizzazione, ma di governarlo, togliendolo da quel regime “liberista” che lo ha contraddistinto fino a poco fa, un regime che non ha avuto attenzione né per la sicurezza dei nostri paesi, né per l’equità, perché ha prodotto un tale aumento delle diseguaglianze da far impallidire ogni periodo storico passato. Il suo unico obiettivo è stato produrre di più, forzando i consumi con il taglio dei prezzi e illudendo tutti che questo potesse continuare indefinitamente.