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Bilancio dei Paesi membri: perché il giudizio della Commissione Ue è stato cauto

Il 21 novembre 2023 era atteso il giudizio della Commissione Europea sui piani di bilancio presentati dai paesi membri dell’eurozona per il 2024. Per capire le basi di questo pronunciamento ricordiamo che gli effetti devastanti del Covid e poi quelli della guerra russo-ucraina sull’economia dell’eurozona (come del resto del mondo) avevano fatto mettere da parte le regole di bilancio che erano prevalse fino al 2019 (3% annuo di deficit massimo annuale e 60% di debito sul PIL). Già queste regole non erano applicate da tutti i paesi, soprattutto la regola del debito (Italia e Grecia), ma nel corso degli anni dal 2020 a oggi altri paesi avevano sforato.

La prospettiva in cui si è messa la Commissione europea è quella di riportare in vigore le regole, permettendo però aggiustamenti da realizzare nel corso di qualche anno. Su questa prospettiva, si dovrà raggiungere un accordo entro la fine dell’anno, un appuntamento non molto distante, sul quale varrà la pena di ritornare. Il giudizio della Commissione è stato cauto con tutti i paesi: solo sette sono stati “promossi” (Spagna, Grecia, Estonia, Lituania, Slovenia, Irlanda, Cipro) e quattro fortemente richiesti di intervenire sui loro piani (Francia, Belgio, al momento sotto elezioni, Finlandia e Croazia). L’Italia fa parte degli altri otto paesi (fra cui anche la Germania) a cui è stato raccomandato di tenere la situazione sotto controllo, per l’aleatorietà di alcune delle componenti del loro bilancio, fra cui i sussidi per il costo dell’energia, particolarmente elevati in Germania, e il famoso superbonus edilizio nel caso dell’Italia. Le critiche più pesanti nel caso dell’Italia riguardano però il fatto che i provvedimenti presi sono in larga misura non strutturali e non si rivolgono alle vere emergenze del paese: ridurre le imposte sul lavoro in maniera stabile, rendere il sistema fiscale più efficiente ed equo (c’è molto da fare in questo senso, uscendo dalla logica perversa della “flat tax”), allineare i valori catastali con quelli di mercato (le rendite immobiliari, esclusa la prima casa, devono essere più tassate), assicurare livelli elevati di investimenti pubblici e privati.

Ora, se il governo italiano ha qualche giustificazione per non essersi occupato di investimenti, perché è in funzione il PNRR, deve però garantire che esso venga effettivamente realizzato, cosa sulla quale c’è più di un dubbio. Ma per il resto, è urgente uscire dalla logica dei sussidi e dei ristori per mancato reddito che ci ha accompagnato in questi ultimi anni, e affrontare con coraggio interventi strutturali. Alluvioni, siccità e calure sono ormai appannaggio delle nostre società e non eventi sporadici. Non continuiamo allora a rincorrere i danni, ma promuoviamo interventi di messa in sicurezza del territorio, di efficientamento della rete idrica, di piantumazione di quante più piante è possibile per mitigare il clima, oltre che di transizione energetica soprattutto attraverso le comunità energetiche.

Facciamo campagne di educazione dei giovani a consumi meno impattanti sull’ambiente, ad essere concretamente collaborativi per rendere luoghi e convivenza sociale più vivibili. Abbiamo bisogno della cooperazione di tutti, lo scaricabarile sullo Stato non funziona più, sono troppi i problemi da risolvere perché si possano addossare tutti sullo Stato. Uno Stato, poi, a cui molti cittadini negano le loro tasse, lamentandosi poi se ci sono le code negli ospedali o se i servizi pubblici funzionano male. Bisogna capire che un sistema economico complesso come quello in cui viviamo ha bisogno del contributo di tutti, perché le sfide da affrontare sono molteplici e di portata mai vista in passato.

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