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Cosa mi è rimasto impresso del Beato Puglisi

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La sua beatificazione indica don Pino Puglisi come un profeta. Quindi noi lo possiamo annoverare tra i profeti. La sua morte così tragica, così dolorosa, è un seme insuperabile di vitalità. Possiamo dire che don Pino Puglisi con il suo esempio, con tutta la sua vita sacerdotale, è stato un maestro di umanità.

Ho conosciuto don Pino Puglisi quando ero Rettore del seminario vescovile di Caltagirone e Direttore dell’ufficio diocesano vocazioni, mentre don Pino era Direttore dell’ufficio regionale vocazioni. Egli mi invitò una volta a tenere una conferenza per tutti i responsabili su questo tema: la cresima sacramento delle vocazioni cristiane. Ho avuto modo di approfondire questa amicizia nel 1984, perché quasi per un anno, ogni sabato, ho cenato con lui, mi recavo a Palermo per coordinare l’area culturale del Convegno delle Chiese di Sicilia e ho avuto modo di approfondire con lui l’amicizia. Quando è stato ucciso, io sono rimasto sconvolto, non credevo ai miei occhi perché lo conoscevo come un sacerdote coraggioso ma anche molto mite, con il sorriso sulle labbra.

Ho ritrovato adesso il telegramma che io mandai, proprio il 16 settembre, al Cardinale Pappalardo, che delinea l’immagine che avevo di lui già all’indomani della morte. Scrivevo: “Unito in preghiera partecipo al dolore della Chiesa di Palermo per il vile assassinio di padre Giuseppe Puglisi, amico carissimo, annunciatore mite e coraggioso del Vangelo, perla del clero Palermitano, sperando che il suo sacrificio contribuisca all’incremento delle vocazioni ecclesiali, alla diffusione della civiltà dell’amore e alla sconfitta della barbarie mafiosa”.

Quel giorno stesso il telegiornale diceva che c’erano varie piste che venivano seguite, una era quella che era stato ucciso da un balordo, da un tossicodipendente per una rapina, perché come risulta dagli atti del processo giudiziario, la mafia aveva paura di far capire che era stata la mafia ad ucciderlo, allora aveva simulato questa falsa rapina per ucciderlo.

Nel 1992, vi sono state le varie stragi che hanno portato le morti di Falcone e Borsellino, ma vi erano state altre stragi di poliziotti e di giudici precedentemente. Nel 1993, il 9 maggio c’è il discorso di Giovanni Paolo II ad Agrigento, in cui invita i mafiosi a convertirsi, perché un giorno arriverà il giudizio di Dio, quindi un discorso religioso, l’invito alla conversione con la categoria del giudizio di Dio. Alcuni mesi dopo, in estate, vi sono stati alcuni attentati ad alcune chiese, a San Giovanni in Laterano, che è sede della cattedrale del Papa, e a San Giorgio al Velabro e non stati a caso: la mafia in quel momento ha incominciato a capire come con la Chiesa non poteva più scendere a patti.

La Chiesa era un nemico potente, per cui aveva paura di attaccarla frontalmente, però voleva darle dei segnali, e il terzo segnale è stato dato con l’uccisione, il giorno del suo compleanno, di don Pino Puglisi. E’ stata un’uccisione che la mafia ha cercato di mascherare, perché, è stata usata una pistola di basso calibro, che solitamente non si usa negli omicidi mafiosi, a don Puglisi  è stato tolto il borsello, gli è stato detto che era una rapina, come risulta negli atti giudiziari. In realtà questo omicidio è scaturito in odio alla fede.

Perché don Puglisi, con il suo ministero sacerdotale di catechesi, di educazione dei bambini, di aggregazione della famiglie, costituiva nel quartiere un “contraltare alla mafia”, che dominava qual quartiere. Allora i mafiosi del quartiere Brancaccio, i Graviano, hanno capito che bisognava eliminarlo. Il martirio di don Pino Puglisi è stato una conseguenza non ricercata di un’umile volontà quotidiana di seguire il Signore, senza spettacolarità o protagonismo.

mons. Michele Pennisi: