Il Vangelo proclama beati i poveri, non i miseri. Nella Giornata mondiale della povertà occorre distinguere tra indigenze (vecchie e nuove) e miserie morali, educative, spirituali. Le cronache ribollono dei mali dell’anima individuale e collettiva della contemporaneità. Si tratta delle miserie interiori recentemente tracimate , per esempio, nel pestaggio di un inerme clochard da parte di giovani della “Roma bene” mentre il “popolo della movida” assisteva indifferente e addirittura incitava alla cieca e disumana violenza sui più fragili. Oppure si manifesta nel convergere da ogni parte d’Europa di giovani che si danno appuntamento nei rave party per stordirsi di droghe ed eccessi.
Le miserie morali di oggi sono le povertà materiali di domani. Papa Francesco considera l’odierna ricorrenza (da lui indetta durante il Giubileo della misericordia) come una “sana provocazione per aiutarci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente”. Dagli scenari di guerra alla quotidianità di ognuno, il Pontefice richiama le origini del cristianesimo. E cioè l’esortazione di Pietro, Giacomo e Giovanni all’apostolo Paolo: “Non dimenticare i poveri”. Ieri come oggi la solidarietà è proprio questo. “Condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra”, sottolinea il Santo Padre. Quella testimoniata da Francesco è una Chiesa aperta, che esce da se stessa, si china sui poveri, si spalanca al mondo e all’umanità, sentendosene parte e sapendo di condividere la sua sorte e di avere contratto, in Cristo, un debito di servizio nei suoi confronti.
Questo vivo e pressante afflato, che emerge da ogni parola e ogni gesto del Papa, ci riporta al Concilio Vaticano II, e in particolare alla “Gaudium et Spes”, che costantemente sollecita la Chiesa ad aprirsi al mondo. Non per perdere la sua identità, ma appunto per trovarla, in quanto essa esiste per la missione. E la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo non è altra cosa rispetto a quella dogmatica sulla Chiesa. Ne è invece la naturale prosecuzione e il compimento. Essa indica alla Chiesa la via della solidarietà con il genere umano, al fine di adempiere al mandato di Cristo. La carità, che deve animare la Chiesa al suo interno e la rende sacramento di salvezza, la deve spingere anche verso l’esterno, in modo da trasmettere ciò che ha ricevuto e la costituisce, e assicurandone l’unità negli intenti e nella prassi.
Come dimostra il pellegrinaggio di pace in Bahrain quella costruita da Francesco, nei suoi viaggi, nei suoi incontri e nell’attività diplomatica della “Chiesa in uscita”, è una politica aperta, estranea a compromessi o ad alleanze di comodo, laica ma coinvolta, libera e rivolta ai poveri e a ogni situazione di bisogno e di sofferenza, estranea al giudizio e capace di sostenere e accompagnare con volto di madre. E tale modalità, lungi dal rappresentare una debolezza, si trasforma al contrario in motivo di forza e di autorevolezza, come si rende evidente nella paziente mediazione tra Russia e Ucraina. L’opera della Chiesa diventa efficace non quando essa difende le sue posizioni, ma quando è libera e povera, ancorandosi alla vera ricchezza, che le viene da Dio. Riferendosi alla Chiesa povera per i poveri Francesco cita continuamente i suoi predecessori. E naturalmente tutti citano il Vangelo, che alla fine è la vera radice della continuità.
Mettere al centro la povertà significa prendere coraggiosamente atto dell’affievolirsi nei secoli del messaggio di misericordia divina che invece pervade tutto l’Antico e il Nuovo Testamento. A lungo è sembrato che un Dio che prova compassione venisse impoverito. Lo slancio che porta a Dio e quello che porta al prossimo, sia come singolo che nelle strutture sociali che l’umanità ha creato, è lo stesso, come il Vangelo dimostra. La tentazione è da sempre quella di dividere le due cose, mentre l’impegno nell’una è la verifica della bontà dell’altro. Maggiori responsabilità istituzionali si hanno più forte deve vibrare la sollecitudine verso gli uomini-scarto, l’umanità e la fratellanza dei migranti, la catastrofe ecologica che minaccia la vita soprattutto dei popoli più poveri.
Nell’Evangelii Gaudium il Santo Padre scrive “desidero una Chiesa povera per i poveri” (n. 198). E subito dopo aggiunge che “i poveri hanno molto da insegnarci. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro”. Andare incontro ai poveri, agli afflitti, ai bisognosi può divenire vocazione per credenti e laici. Un programma di azione per la classe dirigente politica ed economica. Da sempre il magistero della Chiesa considera la povertà una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. I poveri sono quanti soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali. San Paolo VI chiuse il Concilio rivolgendosi proprio agli indigenti con parole che sei decenni dopo riecheggiano quanto mai attuali. Un’appassionata mozione per “tutti voi che sentite più gravemente il peso della croce, voi che siete poveri e abbandonati, voi di cui si tace, voi sconosciuti del dolore”. Perché “voi siete i preferiti del regno di Dio, siete i fratelli del Cristo sofferente e con lui, se lo volete, salvate il mondo. Non siete soli, né separati, né abbandonati, né inutili. Siete i chiamati da Cristo, la sua immagine vivente e trasparente”.