Le attuali priorità della Nato

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Tre quarti di secolo dopo pare che non sia passato nemmeno un giorno, perché i 32 paesi dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono lì, come nel lontano 1949, a chiedersi cosa fare con Mosca. Breve excursus, inevitabile quando si tratta di anniversari: la Nato nacque in un anno che vide la divisione formale delle due Germanie, la rivoluzione comunista in Cina, l’esplosione del primo ordigno nucleare sovietico, l’inizio della Guerra di Corea (il Nord attaccò il Sud), ma la Svezia non aderì all’Alleanza perché tradizionalmente terra neutrale. Oggi la Svezia partecipa al suo primo vertice da paese membro – per paura della Russia – mentre il Cremlino si affida alla Corea del Nord per armi e sostegno politico nella guerra d’Ucraina. Incombe la minaccia atomica, la Cina è percepita come una minaccia. Nulla di nuovo sotto il sole.

Una differenza in realtà c’è: la Germania è tornata una, ed ha entrambi i piedi ben piantati in quello straordinario esempio di pace che si chiama Unione Europea. In lode del Vecchio Continente: se non fosse per esso, ci sarebbe di che demoralizzarsi.

Non è un caso, comunque, che appartenenza all’Ue e appartenenza alla Nato siano percepite sempre più come sovrapponibili. Non che sia giusto (si pensi ad esempio all’Irlanda), e nemmeno corretto. Anzi, è cosa vagamente ambigua per non dire pericolosa. Si eviti quindi la confusione. Il fatto però deve far riflettere, perché – anche alla luce delle recenti elezioni in Francia, con lo sgangherato tentativo russo di intervenire a urne aperte criticando la stessa legge elettorale in vigore Oltralpe – esiste oggettivamente un gioco in cui da una parte ci sono 32 democrazie, dall’altra qualcosa che di democratico non ha nemmeno l’odore.

Il Segretario Generale della Nato, Stoltenberg, tra poche ore passerà la mano al successore: Rutte, fino a ieri premier olandese non estraneo a forme di cinico pragmatismo. La sua agenda sarà dominata dal conflitto ucraino, ma probabilmente senza l’ansia di dover gestire un’Europa in cui forze politiche legate in passato (e ora chissà) al Cremlino hanno la possibilità di condizionare le decisioni dei rispettivi governi. Difficile che ci siano spostamenti di rilevo rispetto alla linea degli ultimi anni. L’Italia, che per un certo periodo ha accarezzato l’idea di poter esprimere essa e non altri il nuovo Segretario Generale (anche Renzi pare averci fatto un pensiero), preme per la messa a punto di strumenti per poter gestire il fronte sud, cioè il Mediterraneo con i suoi conflitti e le sue rotte di migranti.

Le priorità però appaiono altre. Oltre all’Ucraina, dal quartier generale della più poderosa alleanza militare mai vista si guarda non senza preoccupazione a settori come l’Indopacifico, zona da cui passa tantissima parte del commercio internazionale e su cui ha messo gli occhi la Cina. A Washington, dove adesso si celebra il vertice dei 75 anni della Nato, sono previste delegazioni australiane, giapponesi e sudcoreane: una sorta di chiamata di tutto il Pacific Rim per stendere un cordone sanitario attorno a chi, nelle ultime settimane, ha tentato di intimidire le Filippine e non solo quelle. La speranza è che attraverso il Quad, il gruppo di coordinamento che unisce Usa, Australia, Giappone e India, anche Nuova Delhi sia alla fine coinvolta in un’azione di sterilizzazione delle esuberanze altrui. Però non è facile: Modi, appena riconfermato primo ministro, finora si è saputo gestire in un non facile gioco di equilibrismi tra Cina, Stati Uniti e Russia, ma non è scontato che riesca ancora nell’impresa. Preme infatti all’interno dell’opinione pubblica indiana la componente nazionalista, ma soprattutto l’amicizia con la Cina potrebbe farsi soffocante.

Perché se la Nato è più ampia di prima, se l’Europa Orientale è tornata ad essere un campo di battaglia, è anche vero che il tavolo del Risiko si è allargato, e bisogna tenerne conto. Nulla di nuovo sotto il sole, ma nulla è come prima.