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L’assenza delle parti sociali sul tema del salario minimo

Speriamo di cavarcela. Rinviata ad ottobre la riunione con le opposizioni, il Presidente Meloni prepara le sue prossime mosse. Ed intanto affida al CNEL l’analisi dei corposi e variegati dati delle retribuzioni italiane, ed in prossimità della definizione della Legge di Bilancio, annuncierà la strategia fiscale – vedremo se di breve o lungo periodo – per alleggerire le attuali oppresse buste paga del lavoro dipendente in modo stabile. Lo farà dando completezza e continuità alle decisioni già prese sui premi fiscali relativi al salario di produttività, di partecipazione agli utili d’impresa, agli straordinari. Da quello che si comprende con chiarezza dalle risposte-proposte del Presidente del Consiglio è che la strategia riguarderà l’intera platea dei lavoratori dipendenti che intende sostenere, che come si sottolinea ormai da troppo tempo invano, è afflitta da una grave depressione salariale che dura da trentanni.

Un declino costante ed inesorabile a causa di un orientamento generale che ha condotto il nostro paese a rifiutare ogni innovazione nella education, come nel mercato del lavoro, come su ogni fattore di sviluppo, con l’aggravante di compensare le sfasature fiscali con carichi sempre piu pesanti sul lavoro. L’opposizione consapevole della popolarità del tema, continuerà ad appoggiarsi al “salario povero” ed insisterà su una legge ad hoc, e rilancia con la raccolta delle firme a sostegno della propria proposta. Ma in questa storia di ordinario svolgimento della politica italiana da un quarto di secolo, quello che impressiona e preoccupa è l’assenza delle parti sociali sul tema piu intimo della loro funzione di soggetti regolatori del salario nella democrazia liberale.

Nel sindacato la CGIL ha delegato per procura l’opposizione ad occuparsene, svuotando quel poco di unità che permaneva nell’intero movimento unitario. Confindustria e tutte le altre associazioni dell’impresa, assistono silenziosi al colpo assestato contro la rappresentanza dell’impresa. Taluni hanno attribuito alle parti sociali la condizione pietosa dei salari in generale. Ed in parte è vero, almeno per non aver combattuto sufficientemente al proprio interno culture novecentesche che hanno sin troppo tarpato le ali alla modernizzazione del mercato del lavoro. Non hanno fatto prevalere la cultura della produttività e del merito da ben retribuire. E tuttavia a settembre le parti sociali potranno riprendere vitalità. Non suriscaldando le piazze funzionali alla campagna elettorale, ma approfittando della discussione che a questo punto non potrà che esserci presso l’istituzione costituzionale CNEL, sulle strategie le piu complete ed adatte per il reddito dei lavoratori ed il rilancio delle produzioni italiane.

La porzione di lavoratori comunque piccola rispetto ai 25 milioni di salariati male, potrà trovare risposte non con una legge sui minimi salariali, ma con la gestione oculata di tante leggi trascurate relativi agli affidamenti pubblici alle imprese, che se gestite con responsabilità e con l’occhio rivolto agli interessi più vitali per i lavoratori, le cose potranno cambiare. Tutti gli altri lavoratori potranno essere aiutati se il governo centrale e quelli locali, finalmente inizieranno ad occuparsi di abbandonare l’attuale disordine, occupandosi di tutto ciò che rende possibile ottenere investimenti italiani ed esteri, svolgendo così la vera loro funzione di governo degli interessi degli italiani che otterranno benessere non dalla riffa perenne dei bonus che pagheremo a caro prezzo dopo, ma dalla logica a loro sinora sconosciuta che il benessere proviene dalle entrate fortemente alimentata dalla economia buona, e dalla responsabile gestione della spesa pubblica. Non quella delle regalie elettorali ma quelle utilizzate per riprodurre più denari di quelli investiti.

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